sabato 5 marzo 2016

Lotta di potere e lotta di classe nei verbali della Direzione del Pci degli anni Settanta e Ottanta

Botteghe oscure. Il PCI di Berlinguer & Napolitano
Una ricostruzione interessata e dunque da prendere con le pinze ma interessante [SGA].

Ugo Finetti: Botteghe oscure. Il Pci di Berlinguer & Napolitano, edizioni Ares

Risvolto
Nel Pci, in cui erano vietate le correnti e il gruppo dirigente doveva sempre apparire unito, il dibattito interno e le divisioni in seno alla Direzione che aveva sede a Roma in via delle Botteghe Oscure rimanevano segreti. Sulla base dei verbali finora inediti delle riunioni della Direzione il libro ricostruisce i mutamenti della politica del Pci e nel gruppo dirigente seguendo le "vite parallele" di Enrico Berlinguer e di Giorgio Napolitano che sin da giovanissimi aderirono al Pci di Togliatti avendo presto incarichi rilevanti. Napolitano, cresciuto all'ombra del leader della "destra" comunista, Giorgio Amendola, appare ora il principale collaboratore ora il principale antagonista di Berlinguer, erede del "centro" togliattiano. Vediamo così come l'accordo e il dissenso tra i due leader comunisti animano le principali scelte del Partito dal "compromesso storico" all'"eurocomunismo", dal periodo in cui il Pci è stato nella maggioranza di governo (culminato con l'assassinio di Moro) al ritorno all'opposizione in contrasto soprattutto con il Psi di Craxi. Dai verbali emergono la coralità del vertice comunista (con aspetti e interventi finora sconosciuti dei suoi protagonisti, da Nilde Iotti a Pietro Ingrao, da Luciano Lama ad Achille Occhetto) e il modo nuovo in cui la sinistra italiana cominciò ad affrontare temi oggi attuali come le riforme istituzionali, il sistema elettorale maggioritario e il finanziamento dei partiti.

Berlinguer e Napolitano in lotta per il Pci

Ugo Finetti racconta, con documenti inediti, gli scontri di potere interni al comunismo 

Lodovico Festa Giornale - Sab, 05/03/2016

Il Pci «morale» di Berlinguer in fila al bancomat dell’Urss 
Negli anni 80 il deficit del partito esplode: da 80 a 6 miliardi Il saggio di Finetti svela le richieste segrete di denaro a Mosca 

15 mar 2016 Libero SIMONE PALIAGA 
«Tra il 1979 e il 1986 il deficit del Partito comunista italiano esplode. Passa dai 6 miliardi inziali agli 80 di sette anni dopo perché le esigenze elettorali impongono forti spese. E Natta, constatando la situazione, invita a cercare nuove liquidità» racconta a Libero Ugo Finetti in occasione dell'uscita per Ares del suo Botteghe oscure. Il Pci di Berlinguer & di Napolitano ( pp. 320, euro 15) di cui si discute oggi alle ore 18 a Milano al Palazzo Affari ai Giureconsulti in Piazza Mercanti con Umberto Ambrosoli, Piero Borghini, Carlo Cerami, Sergio Scalpelli e Daniela Mainini. Quindi la situazione economica del PCI entra in crisi quando si riducono i finanziamenti dall'Urss, perlatro sempre negati dai comunisti italiani? 
«La dipendenza economica da sovietici, malgrado i dinieghi della direzione, rimane forte agli inizi degli anni Settanta. E durerà fino al 1980. Ma in questo ultimo decennio la cinghia si stringeva. Alla richiesta nel 1972 di ulteriori 3 milioni di dollari da parte di Longo, dopo una lunga contrattazione, i sovietici acconsentono a darne non più di un terzo come si evince dalla documentazione giacente negli archivi sovietici consultata da Valerio Riva». 
Quale ruolo gioca il PCI nella vita politica italiana all' indomani della Seconda Guerra Mondiale? 
«Il PCI si muove in un quadro di Guerra Fredda. Anche se bisogna dirla tutta. In Italia non c'è mai stato il Muro di Berlino». Come mai? «Perché l'antifascismo è stato una sorta di ponte tra DC e PCI permettendo un dialogo continuo tra le parti. Ma questo sempre sotto l'ombrello del cosiddetto centralismo democratico che si reggeva sull' assenza, almeno formale, di correnti, sulla segretezza delle discussioni e su una precisa linea di comando, le cui decisioni erano insindacabili. 
Insindacabili perché così vuole l'Urss? 
«Guardi, Berlinguer prende le distanze dall'Unione sovietica. Saranno Natta e Occhetto a riavvicinarvisi. Ma l'Urss rimane sempre un punto di riferimento fondamentale. Per Berlinguer essa rimane simbolo dell'anticapitalismo e dell' antimperialismo». 
In che senso anticapitalismo e antimperialismo? 
«L'Urss serve a Berlinguer per dimostrare che esiste un sistema economico alternativo al capitalismo che funziona. E dall'altro serve a presentare un contrappeso all'imperialismo americano. Cioè un modello a cui possano ispirarsi i movimenti di liberazione». 
Per cui è falsa l'immagine di un Berlinguer campione della socialdemocrazia? 
«Assolutamente sì. Per lui il socialismo democratico non è una fuoriuscita dal capitalismo. Su questo ci fu la rottura con Craxi e in parte anche con Napolitano. E la cartina al tornasole della rottura con il leader socialista sono gli attriti sugli euromissili a Comiso in risposta allo schieramento degli SS20 sovietici nella DDR e sulla scala mobile, evidente sintomo dell'accettazione dell'economia di mercato». 
Insomma il PCI era autonomo o eterodiretto da Mosca? 
«Non sono servi di Mosca. La riprova sta nel fatto che i finanziamenti da Mosca si interrompono verso fine degli anni Settanta. Da allora vengono sostituiti da forme di finanziamento autoctone». Autoctone in che senso? «Guardi dagli archivi si chiede di cercare liquidità ma non si dice come». Perché si interrompono? «Non è che il PCI godesse di particolare stima da parte di Mosca in particolare dopo quanto accaduto nel 1968 a Praga. Dopo la Primavera di Praga i sovietici diventano arroganti e pretendono ubbidienza assoluta. E gli italiani non accettano. Eppure questo non incrina la linea di fedeltà al movimento del comunismo internazionale».
Significa che a dettare le scelte del PCI è l'identificazione con gli obiettivi del comunismo internazionale? 
«Le cito un episodio. Già nel gennaio del 1981 la direzione italiana viene a conoscenza del colpo di Stato che i sovietici stanno organizzando in Polonia per stroncare, dopo una decina di mesi, i movimenti di riforma. E non dicono nulla. Inoltre quando giunge in visita in Italia Lech Walesa non lo ricevono. E lo stesso accade sulla crisi degli euromissili in cui il PCI evoca anche l'eccezione di costituzionalità». 
Quindi il PCI è stato sem - pre all'opposizione? Non c'è mai stato un condominio con la DC? 
«Dopo il ’68 si assiste al passaggio dalla delimitazione della maggioranza all'arco costituzionale. Così tra il '74 e il '76 abbiamo visto il sostegno comunista ai governi Andreotti. Ma queste grandi intese erano una risposta alla crisi economica e al terrorismo. E da questa strategia Berlinguer si dissocia perché con la crisi degli euromissili e con il processo di integrazione europeo on lo SME non poteva più accettare di stare nella maggioranza». 
Come vede allora la cosiddetta Svolta di Salerno del 1944 quando Togliatti cerca una alleanza con la monarchia e Badoglio? 
«La “Svolta di Salerno”, bocciata poi dalla Guerra fredda, fu il tentativo di stare all'interno del sistema politico postfascista. Da Togliatti in poi l'obiettivo era di andare al potere insieme alla DC anche per far fuori il partito socialista». 


«Le tasche non sono inesauribili» 
I dirigenti del Pcus tagliarono di 16 miliardi i fondi gestiti da Cossutta 

15 mar 2016  Libero 
Circa i cosiddetti finanziamenti occulti, al di la di ogni moralismo, io sono francamente dell'opinione che, in toto, essi siano ineliminabili. Alle spalle di questa presa di posizione, Cossutta ha mesi di rapporti travagliati con i sovietici. Inviato da Luigi Longo a Mosca per «riprendere la discussione con i dirigenti del Pcus», Cossutta deve subire rimproveri da Suslov («un incontro burrascoso") e minacce da Ponomariov che proferisce: «Le tasche non sono inesauribili» e «in questo momento vengono in prima fila gli aiuti al Vietnam, a Cuba, ai Paesi arabi». 
I sovietici danno seguito alla minaccia. Il finanziamento che nel biennio 1967-1968 era stato di 5 milioni e 700 mila dollari scende per il 1969 a 3 milioni e 700. Un taglio - calcola Valerio Riva - di «quasi 16 miliardi in meno ai valori di oggi (1999)». E in questo quadro che il Pci e spinto a incrementare la ricerca di fonti di approvvigionamento autoctono che già era da tempo praticata. (…) Anni dopo, a proposito degli arresti di Mani Pulite, Alessandro Natta nel avrebbe dichiarato: «Hanno permesso che persone integerrime finissero in prigione. Li hanno accusati di cose che se erano state commesse non era comunque certo per colpa loro. Anche io» (...) «ho dato, nel tempo, degli ordini. Forse tra quella gente che e finita in prigione potrebbe anche esserci qualcuno che avrebbe potuto prendere ordini da me». Anni prima, nell'immediato dopoguerra, l'esperto economico del Pci, Antonio Pesenti, che veniva da otto anni di carcere duro, cosi esortava la Direzione: «Occorre avere in mano gli organismi economici come le banche perché hanno una grande importanza non solo locale ma anche centrale». «Avendo in mano tali organismi», spiegava, «si può benissimo avere dei fondi ricavandoli fra le pieghe del bilancio senza che nessuno sappia niente». Era il 18 febbraio 1946 e presiedeva la riunione il segretario del Pci, Palmiro Togliatti, all'epoca ministro della Giustizia. Quell'anno Pesenti divenne vicepresidente dell'Iri. (da «Botteghe oscure» di Ugo Finetti)

Il vero Berlinguer: più rosso di così non si può Finetti svela l’ortodossia com unista del leader fino alla m orte: giustifica il golpe in Portogallo, crede ai successi del socialism o, solidarizza col Pcus, condanna la Biennale del dissenso, am m ira Kadar... 3 apr 2016  Libero ANTONIO SOCCI
(...) ha represso gli scioperi del dicembre 1970 facendo sparare sugli operai. Le mummie comuniste del Cremlino fanno fronte al dissenso interno - oltre che con i lager - inventando i «manicomi politici».
Ugo Finetti ricostruisce nel suo volume Botteghe Oscure. Il Pci di Berlinguer e Napolitano ( Ares, pp. 320, euro 15) cosa accade nel Partito comunista - guidato da Enrico Berlinguer - dopo che, il 12 febbraio, Solgenitsyn viene arrestato ed espulso dall’Urss come «diffamatore della patria» e «marionetta al servizio del fascismo e della reazione».
Scrive Finetti: «Il Pci prende quindi le distanze dalle posizioni di Solgenitsyn. È Giorgio Napolitano, come responsabile culturale, a esprimere pubblicamente la posizione del Pci. “Noi”, scrive sull’Unità, “certo non sottovalutiamo la natura di grave misura restrittiva dei diritti”. Napolitano rimprovera però allo scrittore un atteggiamento di sfida allo Stato sovietico e alle sue leggi, di totale contrapposizione, anche nella pratica, alle istituzioni”. “Solo commentatori faziosi e sciocchi”, lamenta Napolitano, “possono prescindere dal punto di rottura cui Solgenitsyn aveva portato la situazione”».
È significativo che a scrivere queste cose - obiettivamente imbarazzanti - sia stato Giorgio Napolitano che, dal libro di Finetti, emerge di gran lunga come il politico più illuminato, più “liberale” e saggio del Pci di quegli anni. Questo dice quanto il Pci fosse impastato con il comunismo internazionale e quanto Napolitano abbia (sempre) mancato di coraggio.
In effetti, la cosa più sorprendente che si scopre dal libro di Finetti - un’analisi fredda e oggettiva dei verbali (finora inediti) dei vertici del Pci - è la confusione politica della leadership di Berlinguer che appare così contraddittoria e velleitaria da far giganteggiare Napolitano come suo antagonista.
Finora la figura di Berlinguer è stata avvolta da una certa mitologia. Se la sua vicenda politica verrà riletta con oggettività e laicità (e il libro di Finetti è un primo passo) si capirà quanto e perché la sua ortodossia comunista e la sua ossessiva ostilità a Craxi abbiano condannato il Pci ad andare a schiantarsi sul Muro di Berlino nel 1989 (con pessime conseguenze, anche per il nostro Paese).
Non tratto qui il secondo aspetto (relativo a Craxi), ma voglio segnalare - tratti dal libro di Finetti - alcuni fatti relativi all’ortodossia comunista di Berlinguer che ci portano fuori dall’agiografia e ci aprono gli occhi sulla verità storica.
Ne elenco alcuni. Dopo il “caso Solgenitsyn”, nell’aprile 1975 in Portogallo prendono il potere dei militari di estrema sinistra che, con l’appoggio del Pc portoghese, estromettono dal governo i socialisti e sciolgono la Democrazia cristiana. Proprio in quei giorni in Italia si apre il XIV Congresso del Pci e - scrive Finetti - «nella relazione introduttiva Enrico Berlinguer non ha parole di condanna». Infatti chiama il golpe rosso «processo politico assai complicaEnrico Berlinguer, segretario del Pci dal 1972 alla m orte avvenuta nel 1984, durante un com izio. A sinistra, la copertina del libro di Ugo Finetti to», per poi respingere gli attacchi di «giudici altezzosi e ipocriti della condotta delle forze antifasciste portoghesi più conseguenti che cercano le vie per impedire il ritorno della reazione».
Lo stesso Paolo Spriano ricorda che a quel congresso delegati e dirigenti del Pci salutarono «con una ovazione» il rappresentante del Pc portoghese, il quale «nel suo intervento difende il colpo di stato dei militari di sinistra» (Finetti). Solo nelle conclusioni Berlinguer prende un po’ le distanze.
Quanto ai regimi comunisti dell’Est, Berlinguer afferma: «Il dato fondamentale è che in tutti i Paesi socialisti si è registrato e si prevede un forte sviluppo produttivo... È ormai universalmente riconosciuto che in quei Paesi esiste un clima morale superiore (...). È un fatto: nel mondo capitalistico c’è la crisi, nel mondo socialista no». È appena il caso di ricordare che i regimi comunisti in quegli anni stavano affondando nella corruttela generalizzata, nella più brutale repressione e le loro economie erano ormai al collasso: la gente faceva la fame.
Apparve come un fatto storico, nel 1976, la frase detta da Berlinguer, per accreditarsi, nella celebre intervista a Gianpaolo Pansa: «Mi sento più sicuro stando di qua» (cioè sotto l’ombrello della Nato). Ma nelle stesse ore egli attaccò le socialdemocrazie, dove resta «l’alienazione» del capitalismo, mentre se «pure nelle società socialiste c’è forse ancora una forma di alienazione (...) là i lavoratori non si sentono più degli sfruttati». Infatti erano direttamente degli schiavi.
Il 29 e 30 giugno 1976, alla Conferenza dei partiti comunisti a Berlino Est, Berlinguer «evita di tornare sull’accettazione della Nato e ribadisce la condanna delle “vie seguite dalla socialdemocrazie”». Poi sottoscrive il documento finale che solidarizza con il Pcus di fronte alle «campagne contro i partiti comunisti, contro i Paesi socialisti, a cominciare dall’Urss».
Nel 1977 la Biennale - che negli anni precedenti era stata dedicata alla «Libertà in Cile» e alla Spagna liberata dal franchismo - fu dedicata al «Dissenso culturale nell’Urss e nei Paesi dell’Est». Si scatenò il finimondo. «Il Pci condanna l’iniziativa», scrive Finetti, «e i direttori della sezione teatro, Luca Ronconi, e arti visive, Vittorio Gregotti, si rifiutano di collaborare al programma sul “dissenso” dimettendosi». Il socialista Carlo Ripa di Meana, presidente della Biennale, che difende l’iniziativa, «registra una ostilità ben oltre l’area comunista: anche il direttore democristiano della sezione cinema si dimette», ricorda Finetti, «e negano spazi, documenti e collaborazione Rai, Rizzoli, Casa Ricordi, l’Università Ca' Foscari e la Fondazione Cini presieduta dal repubblicano Bruno Visentini. È significativo», conclude Finetti, «che sul piano politico in questa vicenda regge l’asse PciDc-Pri che in Parlamento blocca il rifinanziamento della Biennale» .
a allora «la posizioneD di Berlinguer sarà sempre più tiepida di fronte alle repressioni sovietiche tanto che a proposito del modo in cui il Pci reagisce alla condanna dei dissidenti sovietici Sharanskij e Ginzburg il Corriere della Sera - il 12 luglio 1978 - titola: “C’è ancora l'eurocomunismo?”».
A mettere in dubbio l’affidabilità occidentale del Pci fu anche la sua opposizione agli euromissili che la Nato decise di installare in risposta agli SS20 sovietici. Restava dunque insormontabile il «fattore K». Berlinguer, al XV Congresso, nella primavera del 1979, replicò ai critici: «Non abbiamo alcuna intenzione di rinnegare o sminuire i legami storici che il nostro partito ha con la rivoluzione d’Ottobre e con l’opera di Lenin». Non solo. «L'avversione nei confronti del “papa polacco” in nome del Concilio è una costante del Pci degli anni ’80», ricorda Finetti.
È vero che per il golpe polacco del 12 dicembre 1981, che spazza via Solidarnosc, il Pci formulerà una dura condanna e Berlinguer parlerà di esaurimento della «spinta propulsiva» della rivoluzione d’Ottobre. Ma c'è un “dettaglio” che fa riflettere. Finetti nota come «già il 28 gennaio 1981 il Pci sia a conoscenza del colpo di Stato che si sta preparando in Polonia». E «il Pci di Berlinguer - da allora fino al colpo di Stato di dicembre - non ritenne opportuno attivarsi per denunciarlo. In quel gennaio 1981 il leader del sindacato polacco Lech Walesa è a Roma. Nessun colloquio con esponenti del Pci».
Non è stupefacente? Finetti aggiunge: «Ancora nel 1983 alla domanda “Quale uomo stima di più in campo internazionale?”, il leader del Pci non guarda certo a Willy Brandt o a Olof Palme. Risponde: “Un tempo avrei detto Tito o Ho Chi Minh, oggi non saprei. Stimo Kadar”». È colui che andò al potere in Ungheria dopo l’invasione sovietica.

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