“Lombroso aveva ragione Si nascondono nel cervello le radici della violenza”
Un provocatorio modello spiega i Natural born killer “Oltre l’ambiente, determinanti biologia e genetica”
di Stefano Rizzato La Stampa TuttoScienze 9.3.16
In
principio fu Cesare Lombroso, e l’idea che sul volto fosse scritta la
natura di un uomo. Che esistessero criminali per nascita, e la
propensione alla violenza si vedesse nella forma di un cranio, in una
fila di denti, in anomalie e deviazioni fisiologiche. Poi vennero la
modernità, la crisi del positivismo, il rifiuto di tesi bollate come
razziste. Ma la criminologia ha fatto il suo giro e ora dà ragione al
suo fondatore. Almeno in parte.
«Oggi lo sappiamo: la propensione
al crimine e alla violenza non è solo effetto di fattori sociali: è il
prodotto di tante componenti, ha radici anche biologiche e genetiche». A
dirlo è Adrian Raine, psichiatra e criminologo inglese, autore del
saggio «L’anatomia della violenza», edito da Mondadori. Un tomo
sorprendente e vivace, che recupera e reinterpreta Lombroso, ma
soprattutto apre una frontiera tutta nuova: la neurocriminologia.
L’idea
è cercare le basi del comportamento antisociale scrutando tra le pieghe
del cervello. Usando le neuroscienze e gli strumenti high tech. Fino ad
arrivare a predire la propensione al crimine, incrociando parametri
genetici, biologici, ma anche sociali. «La violenza è un comportamento
complesso: non possiamo darne una spiegazione semplice», sorride Raine. È
stato lui il protagonista del BrainForum 2016, che si è tenuto lunedì
al teatro Franco Parenti di Milano, mentre oggi terrà una «lecture»
all’Università di Torino. Doppia occasione per rilanciare quella che
pare una provocazione. E che, invece, è il frutto di studi accurati e
metanalisi brillanti.
Quello che Raine propone è un modello
«biosociale». Che spiega l’inclinazione alla violenza con due cause
intrecciate: genetica e ambiente. Da una parte geni e cromosomi,
dall’altra il contesto sociale. Il primo è il versante più inedito, se
si parla di crimine e criminologia. Lo studioso mostra come il gene
mutato «Mao-A» interferisca con le funzioni dei neurotrasmettitori e sia
per questo associato ad impulsività e altri comportamenti a rischio. E
indica altri geni - «5htt62», «Drd263», «Dat164» e «Drd465» - da
collegare al comportamento antisociale e alla criminalità, perché
regolano serotonina e dopamina.
Poi c’è la parte più lombrosiana
del saggio: quella che prova a leggere anche nella conformazione del
cervello l’attitudine violenta o criminale. Raine si spinge fino ad
associare ai comportamenti antisociali una serie di «anomalie
cerebrali». Uno sviluppo incompleto della corteccia prefrontale,
qualcosa che non va nella corteccia cingolata posteriore, disfunzioni
per amigdala e ippocampo. Senza bisogno di portare a disturbi psichici
veri e propri, questi difetti del cervello possono rendere una persona
più incline al crimine. E Raine prova a dimostrarlo - tra l’altro -
facendo tomografie sul cervello dei detenuti. E applicando il
neuroimaging funzionale anche ai mariti violenti. «I nostri risultati -
spiega - sfidano la prospettiva puramente sociale della violenza
domestica e suggeriscono invece che esista una predisposizione
neurobiologica».
L’aspetto sociale è pienamente nell’equazione.
Alla radice delle anomalie cerebrali Raine colloca sia cause genetiche
sia cause ambientali, esterne. L’accento è sui primi anni di vita di una
persona: quelli che determinano l’adulto di domani e la buona o cattiva
strada che prenderà. Le scienze sociali lo dicono da un pezzo, ma ora
si prova a dare una base neuroscientifica. «Fattori sociali come la
malnutrizione o l’abbandono materno - spiega lo psichiatra - possono
determinare l’esistenza di uno o più di quei difetti cerebrali che
dicevamo. E i semi della violenza si diffondono addirittura nel periodo
prenatale. C’è una relazione tra il fumo in gravidanza e la violenza da
adulti. E quella tra sindrome alcolica fetale e la via del crimine è
impressionante».
Fumare o bere alcol durante la gravidanza espone
il futuro bebè a danni cerebrali, ma non danni qualunque: proprio a
quelli collegati al comportamento antisociale. È qui che si arriva a
camminare su un terreno affascinante e delicato, con vista sul caro
vecchio determinismo. Di questo passo la neurocriminologia potrà
offrire, fin dal primo giorno di vita, il «profilo criminologico» di un
soggetto. Con basi statistiche, incrociando dati genetici, biologici e
ambientali, sapremo la propensione al crimine. «E potremmo arrivare -
prosegue Raine - fermare il crimine prima che accada. Ma la domanda è
questa: che fare con tutti questi dati? Siamo disposti all’idea di
arresti preventivi per chi, sulla base di tutti i parametri, risulti ad
alto rischio?»
Il dilemma etico non è da poco. Anche perché per
Raine non ci sono automatismi: i delitti non sono conseguenza diretta
dei «cattivi geni» e delle anomalie cerebrali. Ma i concetti di libero
arbitrio e di responsabilità paiono ridimensionati. «E tutto questo -
dice lo studioso - si potrebbe usare nel modo sbagliato, come stigma nei
confronti di chi è geneticamente o biologicamente propenso al crimine.
Invece le nuove conoscenze ci dovrebbero portare a fare investimenti sui
primi anni di vita dei bambini e sulla maternità. Ma anche a rivedere
la giustizia. Ora sappiamo che non tutti gli uomini nascono uguali.
Alcuni criminali scontano colpe non proprie, scritte nel cervello. La
giustizia del XXI secolo può ancora ignorare tutto questo? Ma poi:
l’idea di responsabilità che fine farebbe?».
Lombroso aveva ragione: il delitto è nel dna 27 mar 2016 Libero SIMONE PALIAGA
Il libro di un neuroscienziato riabilita le teorie antropologiche sulla crim inalità, utilizzando i geni m utati M a, m entre lo studioso-detective viene rivalutato in editoria, a Torino c’è chi vuol chiudere il suo M useo Lombroso è tornato! Proprio quel Cesare Lombroso!
Fino a qualche tempo fa sembrava una vestigia dell' epoca del positivismo o nel migliore dei casi una buona comparsa in un film steampunk. Stiamo parlando proprio dell' uomo che credeva di profetare dai tratti del volto di un essere umano il comportamento criminale di cui sarebbe stato capace. Ricordate, i preziosi dettami delle fisiognomica ottocentesca, le descrizioni di L'uomo delinquente nato atavico? Eppure se lui ambiva ad ammantare di scienza le sue analisi, noi non facciamo lo stesso forse in maniera prosaica ogni giorno? Quante volte abbiamo preso le distanze la sera da qualche presunto malintenzionato solo per le sue sembianze fisiche o suoi lineamenti? Non c'è forse un lombrosismo quotidiano di cui noi tutti ci facciamo spesso baldanzosi interpreti?
Eppure Lombroso, piaccia o non piaccia, è uno dei padri della criminologia che tanto di moda va in questi anni. E la sua importanza è tale che l'università di Torino ha pensato bene di inaugurare nel 2009 il Museo di antropologia criminale dedicandolo proprio a lui, a Cesare Lombroso. Siccome le anime belle sono sempre pronte a firmare appelli alla vigilanza contro le opinioni che le inquietano, anche per questo hanno deciso di nuovo di mettersi in azione. E la richiesta di chiusura del museo è subito partita. Malgrado gli assessorati di Comune e Regione si oppongano alla iniziativa delle anime belle turbate esse hanno anche pubblicato un libro contro il padre della criminologia, Cento città contro il Museo Cesare Lombroso. Perché?
Ovviamente perché nell' idea che esista un rapporto insuperabile tra la morfologia del cranio di una persona e le sue inclinazioni criminali ravvisano dei tratti razzisti. Ma chissà cosa penserebbero oggi che è ai blocchi di partenza una nuova disciplina, la neurocriminologia? Ne parla in un recente libro Adrian Raine. Nel suo L'anatomia della violenza. Le radici biologiche del crimine ( Mondadori, pp. 576, euro 28) lo psichiatra e criminologo inglese pensa di ritrovare le basi del comportamento antisociale nelle pieghe del cervello. A supporto della sua tesi mette a frutto le evidenze che si possono trarre dai sistemi di brainimaging, oggi in voga, nel campo delle neuroscienze. Nella propensione al crimine oggi peserebbero, secondo Raine, fattori che non possono essere ridotti al sociale. Certo questa volta non si tratta della disposizione delle fila dei denti né delle forma del cranio né di altre anomalie anatomiche.
Ma ci muoviamo comunque nell'orizzonte dischiuso un secolo fa da Lombroso. Oggi sullo scranno degli imputati non siedono i tratti del volto ma dei geni. Sarebbe il gene mutato «Mao-A» a interferire con le funzioni dei neurotrasmettitori che disciplinano impulsività e altri comportamenti a rischio. E poi un ruolo lo giocherebbero anche altri protagonisti come i geni «5htt62», «Drd263», «Dat164» e «Drd465» che regolano la produzione di serotonina e dopamina. Se tutto però si fermasse qui rimarremmo ancora nei territori modaioli delle neuroscienze.
L'occulta presenza di Lombroso invece si ritrova con ancora maggior peso quando Raine tenta di interpretare l'attitudine delinquenziale dalla conformazione del cervello. Seguendo lo studioso inglese sembrerebbe che uno sviluppo incompleto della corteccia prefrontale, una disfunzione nella corteccia cingolata posteriore, delle anomalie nell'amigdala o nell'ippocampo potrebbero acuire la possibilità di inclinazioni criminali. Se qui non siamo a un lombrosismo di
ritorno poco ci manca. Solo che è un Lombroso all' epoca del
brainimaging.
Cosa fare con questa marea di dati che lo sviluppo delle
tecnologie ci permette di acquisire? Lanciarsi, come in Minority Report
di Philip Dick, in arresti preventivi per evitare che si commetta un
crimine? Rafforzare sempre di più la società di controllo per monitorare
il comportamento di soggetti a rischio? Raine su simili questioni
glissa mettendo in luce come non ci sia un automatismo fisiologico anche
se sullo sfondo sembra apparire all' orizzonte un mondo dimentico del
libero arbitrio. E soprattutto orfano del cardine della libertà
dell'uomo, la responsabilità.
Non trovando risposte, se non ideologiche e pregiudiziali, non ci
resta che rendere omaggio al sempre oltraggiato Cesare Lombroso magari
leggendo per svago i gialli che qualche mese fa lo hanno eletto a
protagonista delle loro vicende come L'enigm atico caso di Cesare
Lombroso di Diana Bretherick ( Newton Compton) o L'uccisore di Gino
Saladini (Rizzoli) o ancora il lavoro a quattro mani di Andrea Vitali eM
assimo Picozzi, La ruga del cretino (Garzanti), oppure La scelta di
Sigmund di Carlo A. Martigli (Mondadori).
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