domenica 6 marzo 2016

Dopo Kullervo presto pubblicate le liste della lavandaia di Tolkien. Destra lacerata: Frodo fascista o Frodo liberale?




John Ronald Reuel Tolkien: La storia di Kullervo, a cura di Verlyn Flieger, trad. Luca Manini, Bompiani. pagg. 248, euro 19


Risvolto
Kullervo è un ragazzo orfano dotato di poteri sovrannaturali, cresciuto nella fattoria del mago oscuro Untamo. Il mago ha ucciso il padre, rapito la madre, e provato per tre volte a eliminare il ragazzo, salvato solo dall'amore della sorella gemella Wanona e dai poteri del cane Musti. Quando Kullervo è venduto come schiavo giura vendetta contro Untamo, ma imparerà che neanche la rivalsa potrà metterlo al riparo dal suo destino spietato. 





Il nuovo saggio «Hobbit Party» rilegge l’opera dello scrittore inglese in una nuova luce: un liberal-conservatore che applicò alla Terra di mezzo i principi dello «Stato minimo»
Luigi Mascheroni Giornale - Dom, 06/03/2016 

Ecco Kullervo, il primo mito di JRR Tolkien

Una saga nordica con momenti shakespeariani 

Daniele Abbiati Giornale - Dom, 06/03/2016 -

La Terra di Mezzo, regno di Dio e della libertà 

Il sogno di un cattolico conservatore e un elogio di ciò che oggi l'Occidente ha rinnegato 

Jonathan Witt Jay W. Richards Giornale- Dom, 06/03/2016


Le mie prime cronache dalla Terra di Mezzo 
Esce in Italia il romanzo d’esordio dell’autore del “Signore degli anelli” È la storia di un eroe nato da una lotta fratricida: ecco come comincia

J. R. R. TOLKIEN Restampa 16 3 2016
Kemenume. Ora, il piccolo che fu portato a Kemenume crebbe e divenne un commerciante e non ha parte alcuna in questa triste storia; ma quello che il falco portò a Telea è colui che gli uomini chiamano Kalervo; e di un terzo piccolo di quella nidiata, che non fu rapito, gli uomini parlano spesso e lo chiamano Untamo il Malvagio; ed egli divenne uno stregone maligno e un uomo di grande potenza.
E Kalervo dimorò presso i fiumi pescosi, dai quali traeva svago e buon cibo, e a lui, nel corso degli anni, la sposa aveva dato un figlio e una figlia e ora per lei si avvicinava di nuovo l’ora del parto. E in quei giorni le terre di Kalervo si distendevano lungo i confini del tetro reame del suo possente fratello, Untamo, il quale bramava le sue amene terre percorse dal fiume e l’abbondanza dei suoi pesci. Allora, vi si recò, immerse le reti nelle acque pescose di Kalervo e rubò a Kalervo tutti i suoi pesci e gli fece nascere in cuore un grande dolore [...]. Untamo, allora, gonfio d’ira, raccolse i propri uomini e diede loro delle armi; armò i servi e gli schiavi con asce e con spade e marciò verso la battaglia, verso una lotta feroce contro il proprio fratello. E la moglie di Kalervoinen, seduta presso la finestra della fattoria, scorse, in distanza, le nuvole agitate di polvere e fumo che quell’esercito sollevava, e parlò a Kalervo dicendo: «Marito mio, avvicinati a me e guarda: laggiù si sta levando un vapore maligno. È fumo quello che vedo oppure una densa oscura nube che trascorre rapida? Ma vedi come ora resta sospesa sui confini dei campi di grano, proprio là in fondo, accanto al sentiero che abbiamo da poco tracciato!». Allora Kalervo, con animo pesante, disse: «Moglie mia, quello non è il vapore dei fumi d’autunno, non è un’oscurità che passa e va; temo invece che sia una nube che non passerà veloce, e certo non prima d’aver travolto la mia casa e la mia gente in una burrasca ostile». Poi, agli occhi d’entrambi apparve l’accozzaglia che Untamo aveva radunato ed essi poterono vederne il numero e la forza e i vestimenti di un vivo rosso scarlatto. Laggiù, l’acciaio riluceva e dalle cinture pendevano le spade e nelle loro mani le solide asce mandavano bagliori e sotto i copricapo le loro facce cattive guardavano torve, poiché Untamoinen raccoglieva attornoa sé soltanto bifolchi spregevoli e crudeli. E gli uomini di Kalervo erano fuori, sparsi per le terre della fattoria e così egli, afferrando l’ascia e lo scudo, si precipitò da solo contro i nemici e ben presto fu ucciso là, nel cortile, vicino alla stalla, nel sole autunnale della bella stagione del raccolto, schiacciato dal peso e dal numero dei nemici. Dinanzi agli occhi di sua moglie, Untamo infierì con piena crudeltà sul corpo del fratello e con piena cattiveria massacrò la sua gente e devastò le sue terre. I suoi uomini selvaggi uccisero chiunque trovassero, uomini e bestie, risparmiando soltanto la moglie di Kalervo e i suoi due figli, ma risparmiandoli al solo scopo di ridurli in schiavitù nelle tetre dimore di Untola.
L’amarezza entrò allora nel cuore di quella madre, poiché ella aveva caramente amato Kalervo e a lui era stata cara; e dimorò nelle case di Untamo senza più curarsi di ciò che accadeva nel mondo illuminato dal sole; e a tempo debito, nel mezzo delle sue angosce, diede alla luce i figli di Kalervo, un bambino e una bambina uniti in un parto solo. Di grande forza fu l’uno e di grande bellezza fu l’altra sin dal momento della nascita, e cari l’uno all’altra furono essi sin dalle prime ore; alla loro madre, però, il cuore giaceva morto nel petto ed ella non si curò per nulla della loro leggiadria e tanta era la sua pena che non ne ricevette alcun sollievo, e solo le fece rammemorare i giorni antichi, trascorsi nella fattoria presso il fiume che scorreva placido; e le acque pescose tra le canne; e il pensiero del morto Kalervo, il loro padre; ed ella chiamò il bambino Kullervo, ossia “ira”, e la bambina Wanona, ossia “pianto” [...].
La forza di Kullervo, non conoscendo mai dolcezza alcuna, si trasformò in una volontà indomabile che non poteva rinunciare a nulla di quanto desiderava e che si risentiva di ogni offesa. E Wanona divenne una fanciulla solitaria e selvaggia, che prese a vagare per i tetri boschi di Untola non appena poté reggersi in piedi; e ciò accadde ben presto, poiché questi due bambini erano prodigiosi, essendo nati a distanza di una sola generazione dagli uomini vissuti nel tempo della magia. E Kullervo era simile a lei, un bambino difficile da trattare, tanto che un giorno, gonfio di rabbia, lacerò le fasce che lo stringevano e ridusse in pezzi, prendendola a calci con tutta la forza, la sua culla di legno di faggio; gli uomini dicevano però che, secondo tutte le apparenze, sarebbe diventato un uomo possente e che avrebbe avuto prosperità e Untamo ne era lieto, pensando che un giorno Kullervo sarebbe stato un suo fortissimo guerriero e un ben robusto servitore. Questo non pareva certo inverosimile poiché, quando ebbe tre mesi e raggiungeva in altezza le ginocchia di un adulto, si alzò in piedi e, di colpo, parlò così alla madre, la quale continuava a soffrire, immersa nella sua ancor fresca angoscia: “Oh madre mia, oh mia carissima madre, perché tanto ti duoli?”.
E la madre gli parlò, narrandogli del modo vile in cui Kalervo era stato ammazzato là, nella sua fattoria, e di come tutto ciò che si era costruito era stato devastato e ucciso dal fratello Untamo e dai suoi sgherri e di come nulla era stato risparmiato o salvato, se non Musti, il grande cane, il quale era tornato dai campi solo per trovare il padrone ucciso e la padrona e i suoi figli in catene; ed esso aveva seguito i loro passi da esuli sino ai boschi azzurri che circondavano la dimora di Untamo, dove ora abitava, vivendo allo stato brado per paura dei servi di Untamo, e di quando in quando ammazzava una pecora e spesso, durante la notte, si potevano udire i suoi latrati; e gli sgherri di Untamo dicevano che era il cane di Tuoni, il Signore della Morte, ma così non era. Ella gli narrò tutte queste cose e gli diede un grande coltello lavorato in foggia bizzarra, che Kalervo portava sempre appeso alla cintura quando si recava nei campi, una lama magnificamente affilata, forgiata in giorni ormai lontani e che lei aveva afferrato dalla parete nella speranza di poter aiutare l’uomo che amava. Detto questo, tornò a immergersi nel proprio dolore e Kullervo gridò a gran voce: «Giuro sul coltello di mio padre che, quando sarò più grande e il mio corpo sarà divenuto più forte, vendicherò la sua morte e ripagherò le lacrime che versi, madre mia che mi hai generato».
E queste parole non le ripeté mai più, le disse solo quella volta, ma quella volta Untamo le udì senza essere visto. E per l’ira e la paura si mise a tremare e disse: «Egli porterà la rovina sulla mia stirpe, poiché Kalervo è rinato in lui».

Il deforme eroe del «Kalevala» alle radici della Terra di Mezzo Arriva in Italia «La storia di Kullervo», racconto giovanile inedito del filologo di Oxford che trasfigura il personaggio mitico di Lönnrot 18 mar 2016  Libero MARCO RESPINTI
«Kullervo figlio di Kalervo è forse il meno piacevole degli eroi di Tolkien: rozzo, lunatico, scontroso e vendicativo, oltre che fisicamente poco attraente. Eppure questi elementi conferiscono maggiore realismo al personaggio, rendendolo per assurdo seducente, nonostante tutti i difetti o, forse, proprio in virtù di essi». È così che la curatrice Verlyn Flieger introduce storia di Kullervo di J.R.R. Tolkien , un racconto e alcuni saggi critici sull’epica che sono l’ennesima perla ritrovata nella miniera di bozze e inediti dello scrittore e filologo e pubblicata da Bompiani ( pp. 244, euro 19).
Del testo si sa da oltre 30 anni grazie all’epistolario dello stesso Tolkien ( La realtà in trasparenza) ea J.R.R. Tolkien. La biografia di Humphrey Carpenter. Nel 2010 l’edizione critica della Flieger è stata pubblicata su Tolkien Studies: An Annual Scholarly Review (West Virginia University Press) sotto la direzione di luminari quali Douglas A. Anderson, Michael D.C. Drout e la stessa Flieger, e quindi stampata in volume da HarperCollins nel 2015.
Il racconto fu composto tra il 1912 e il 1916 da un Tolkien ancora studente di Lingue germaniche all’Exeter College di Oxford. Da poco aveva approcciato anche il finlandese, lingua poi funzionale alla creazione di una grammatica elfica
completa. E proprio dall’amore per il finlandese nacque il suo Kullervo, giacché di Kullervo ce n’è un altro, nel Kalevala, il poema epico nazionale finlandese composto da Elias Lönnrot (1802-1884).
Filologo, medico e botanico, sulla base di antichi poemi e di carmi popolari della tradizione linguistica balto-finnica della Carelia (una lingua oggi parlata da uno sparuto gruppo), Lönnrot ricreò a metà ’800 un intero ciclo mitico per restituire alla sua patria una memoria da tempo dispersa. Tolkien ne fu colpito tanto da mettere mano a un “calco”, scritto quando ancora la Terra di Mezzo e i suoi personaggi immortalati ne Lo Hobbit e ne Il Signore degli Anelli non erano ancora neppure abbozzati.
Lönnrot è infatti il modello di Tolkien. Come lui, accarezzò a lungo l’idea di comporre una nuova mitologia per l’Inghilterra, giudicata povera in confronto alle grandi epiche greche, latine, celtiche e scandinave. La colossale storia delle Tre Ere della Terra di Mezzo, dalla creazione dell’universo da parte di Ilúvatar ai tempi ultimi della battaglia al Nero Cancello di Mordor, sarebbe dovuto essere ciò, ma Tolkien accantonò il progetto per impossibilità fisica. A ragione. Il mito autentico è il prodotto di un popolo e di una storia, non di un individuo. Il limite del Kalevala è questo e Tolkien se ne rese conto, superando il collega specie per umiltà; eppure il germe di quell’impresa resta sempre sottotraccia in tutta la sua narrativa. E sgorga appunto dal deforme Kullervo.
Sia il Kullervo di Lönnrot sia quello di Tolkien sono lontani dall’oleografia un po’ di plastica del supereroe. Il personaggio è ossianico e la scena tragica. Ci sono il male e la catastrofe, ma ne La storia di Kullervo ci sono pure più Tolkien, anche biografico, e più Terra di Mezzo che in qualsiasi altra sua narrazione. Il Tolkien vero, non quello dei gadget e della cultura di massa. Il Tolkien per cui la vita è milizia, il Tolkien che sa che tutto andrà male tranne l’esito finale, il Tolkien non pessimista ma dal crudo realismo.
La storia di Túrin Turambar cantata nel Silmarillion, rinarrata più volte nel complesso incompiuto di The History of Middle-earth e infine ripresa ne I figli di Húrin portato a compimento dal figlio Christopher, ha qui le radici. Ma il Túrin nato dalla mente di Tolkien, osserva la Flieger, non è più il Kullervo del Kalevala. Tolkien era così: della storia e della letteratura s’impadroniva, convinto che le cose come sono andate una volta siano solo il punto di partenza per un cammino più lungo. Il viaggio vero è entrarci per viverle. La vita, oltre che milizia, è pellegrinaggio, e nulla è scritto una volta per tutte. A partire da Kullervo, Tolkien supera fatalismo e rassegnazione. La speranza ritorna. Umberto Eco ha confessato di sognare l'impossibile: scrivere un giallo in cui l’assassino è il lettore. Tolkien lo ha fatto. Ha scritto un mondo in cui i protagonisti siamo noi lettori ogni volta che viviamo, sperando, le sue pagine.      

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