mercoledì 9 marzo 2016
Si scrive Clinton ma si legge Matteo Amore Mio. Lo spirito dei tempi postmoderni inebetisce tutta la scuola di scienze politiche italiana
L'università italiana merita di scomparire. Purtroppo scomparirà solo chi non si allinea [SGA].
Risvolto
Nelle democrazie contemporanee fino a che punto conta lo stile del
leader, il suo modo di prendere le decisioni e di comunicarle? In che
modo tratti della personalità, motivazione, convinzioni ideologiche
incidono sul rapporto del leader con i seguaci, i media e i cittadini? E
qual è il ruolo del contesto istituzionale? I suoi vincoli sono così
forti da imporre al leader un processo di adattamento o il capo
dell'esecutivo è in grado di dare un'impronta personale all'esercizio
del potere? Da Bill Clinton a Silvio Berlusconi, da Ronald Reagan a
Angela Merkel, da Charles de Gaulle a Margaret Thatcher, Tony Blair e
Romano Prodi, il libro illustra la leadership come elemento fondamentale
per comprendere la relazione tra governo e cittadini.
Empatico, mediatico, outsider: profili da leader
9 mar 2016 Corriere della Sera Di Marco Gervasoni
La pubblicistica statunitense per largo pubblico è zeppa di manuali per diventare leader, anche Donald Trump ne ha scritti diversi. Del resto, la grande tradizione del pensiero occidentale (pensiamo a Niccolò Machiavelli) non ha fatto altro che riflettervi, solo che al posto dell’inglese leader c’era il termine «capo» — o anche «duce», com’era chiamato ancora Garibaldi.
Oggi la filosofia politica sembra aver perso interesse per un tema che resta invece al centro di quello degli scienziati della politica, come Donatella Campus, in Italia tra gli studiosi più ferrati in materia. Nel suo nuovo libro Lo stile del leader (Il Mulino), l’autrice si interroga sulle caratteristiche della leadership politica contemporanea e in particolare sullo «stile», il modo in cui il capo politico comunica e decide. La dimensione mediatica, legata alla televisione e ai social, è essenziale per far emergere la personalità del leader e per entrare in contatto con il pubblico-elettore.
Tra i leader empatici Campus inserisce Bill Clinton e Silvio Berlusconi, mentre capi come Ronald Reagan e Angela Merkel sono emersi per la forza delle convinzioni, de Gaulle e Thatcher per il loro essere outsider. Altri, come Tony Blanon
ir e Romano Prodi, si sono imposti grazie al processo di «presidenzializzazione del governo» nei sistemi parlamentari, anche se nel caso di Prodi, come spiega Campus, il processo è rimasto a metà. La classificazione, assai utile, inficia la convinzione che anche Reagan e de Gaulle, Thatcher e Blair fossero empatici e dotati di forti convinzioni o che pure Berlusconi, e per certi aspetti Prodi, possano essere considerati leader outsider.
Ritorna tuttavia qualcosa, che la nozione di «carisma» di Max Weber aveva sfiorato senza tuttavia abbracciare completamente: il carattere ineffabile e misterioso dell’emergere di un capo, del suo successo e della sua sconfitta. A tal fine ci aiuta più leggere Elias Canetti che non i manuali con consigli per costruirsi la leadership: che, se non c’è, uno non se la può dare.
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