sabato 19 marzo 2016

Terrorismi: Kristeva si interroga sulla mentalità jihadista ma non su quella neoliberale

Risultati immagini per julia kristevaPubblichiamo ampi stralci dell’articolo «Come si può essere jihadisti? A proposito del male radicale» della scrittrice e psicoanalista francese (insegna Linguistica e Semiologia all’Università di Parigi) Julia Kristeva, tratto dal numero 1/2016 della rivista bimestrale dell’Università Cattolica Vita e Pensiero.

Il Male Radicale e il nichilismo infettano i giovani via internet 
La semiologa Julia Kristeva riflette sulla radicalizzazione di tanti giovani musulmani. E spiega come «recuperare» chi vuol partire per il Califfato

19 mar 2016  Libero Di JULIA KRISTEVA (Traduzione di Mario Porro)
C’è la guerra in Francia, ma contro chi sono in guerra i francesi? Di fronte alle pretese totalitarie del jihadismo sanguinario, un noi sta raccogliendo i «figli della patria» intorno alla Marsigliese. Un noi eretto contro una nuova versione del nichilismo la cui brutalità e ampiezza sono senza precedenti. Il male radicale e la pulsione di morte, veicolati dalle meraviglie tecniche dell’iperconnessione, sfidano i Lumi che li avevano sottostimati sforzandosi, da più di due secoli, di spezzare il filo con la tradizione religiosa per fondare i valori di una morale universale. 
Che cos’è il «male radicale»? Immanuel Kant si era servito di questa espressione per dare un nome al disastro di certi umani che considerano altri umani superflui, e li sterminano freddamente. Hannah Arendt aveva denunciato questo male assoluto nella Shoah. Perché la «pulsione di morte» sostituisce negli adolescenti che diciamo «fragili» il bisogno prereligioso, antropologico, di credere? Oggi, gli adolescenti di Francia, che provengono per metà da famiglie musulmane e per metà da famiglie cristiane, ebree o senza religione, si dimostrano l’anello debole dove si disgrega, nel collasso del patto sociale, il legame stesso fra gli umani (il conatus di Hobbes e di Spinoza). E il legame di fiducia tra i viventi parlanti esplode in un mostruoso scatenarsi della pulsione di morte. 
Non saprei presentare le cause geopolitiche e teologiche del fenomeno: la responsabilità del post-colonialismo, le pecche dell’integrazione e della scolarizzazione, la debolezza dei «nostri valori» che gestisce la globalizzazione a colpi di petrodollari sostenuti con attacchi chirurgici, il restringersi della politica a serva dell’economia attraverso una giurisdizione più o meno soft o hard... 
Alcune stesse autorità della religione musulmana incitano ormai a condannare fermamente quanti predicano la «guerra santa», ma anche ad abbandonare i discorsi che si pretendono «quietisti», che si limitano, a quanto pare, a redigere umilmente l’elenco delle nostre «impurità» e, così facendo, implicitamente indicano ogni «infedele» o «miscredente», dovunque stia nel mondo, alla vendetta dei «puri». Certi hanno anche il coraggio di mettere in discussione l’islam nel suo ruolo di legislatore assoluto (codice di procedure regolatrici: come organizzarsi tra di noi?) e invitano i correligionari a porre in discussione il loro rituale vincolante, a storicizzarlo, a contestualizzarlo: perché? quando? con chi? (...). 
Tali movimenti interpretativi, meno minoritari che in passato, riprendono vigore oggi in seno all’islam, per lo shock degli omicidi a Charlie Hebdo e all’Iper Cacher e, con ancor più forza, di fronte ai kamikaze del 13 novembre. Non annunciano necessariamente l’avvento di un islam dei Lumi. (...). 
Comprendo lo sgomento della passante che depone fi ori davanti al Bataclan e al microfono chiede: «Com’è possibile essere jihadisti? Quali sono i loro stati d’animo? Cosa si può fare?». Queste considerazioni non sono secondarie. Fanno parte della componente preventiva dello stato di guerra: a monte delle misure punitive, di sicurezza o militari, non basta scoprire come procedono i jihadisti per reclutare i loro esecutori. È importante saper intercettare i candidati alla jihad in via di radicalizzazione, prima che raggiungano i campi di Daesh per tornare come kamikaze o, al limite, come pentiti più o meno sinceri, in vista di un’eventuale deradicalizzazione. (...). 
La nostra civiltà secolarizzata non ha più riti d’iniziazione per gli adolescenti. Prove o tornei, digiuni e mortifi cazioni messi in racconto e dotati di valori simbolici, queste pratiche culturali e cultuali, note fin dalla preistoria e che si conservano nelle religioni costituite, autentificavano la sindrome d’idealità degli adolescenti e fornivano passerelle per la realtà comunitaria. La letteratura, in particolare il romanzo da quando compare nel Rinascimento, ha saputo narrare le avventure iniziatiche di eroi adolescenti: il romanzo europeo è un romanzo adolescenziale. L’assenza di questi riti lascia un vuoto simbolico, e oggi la letteratura-merce o spettacolo è ben lungi dal soddisfare le angosce di quel credente nichilista che è l’adolescente internauta che preferisce i videogiochi ai libri. (...). 
Presa alla sprovvista dal disagio degli adolescenti, la morale laica sembra incapace di soddisfare la loro malattia d’idealità. Come affrontare l’intenso ritorno del bisogno di credere e del religioso che si osserva dovunque nel mondo? (...). 
Questione ancor più insolubile: sarebbe possibile fermare la rottura del legame che convoglia, a ruota libera, la pulsione di morte nel gangstero-integralismo adolescenziale delle nostre periferie? 
Questa delinquenza pronta a radicalizzarsi, di solito in prigione (...), rende evidente che anche il trattamento religioso della ribellione è ormai screditato. Non basta a garantire l’aspirazione paradisiaca di questo credente paradossale, di questo credente nichilista, forzatamente nichilista perché pateticamente idealista, che è l’adolescente disintegrato (...). 
Al di là dello «scontro di religioni», la rottura del legame nichilista è più grave dei conflitti interreligiosi, perché colpisce più in profondità le energie della civiltà, mettendo in evidenza la distruzione del bisogno di credere pre-religioso, costitutivo della vita psichica con e per gli altri. (...). 
Souad è ricoverata in ospedale per anoressia grave, fredda passione mortifera, accesso di bulimia e vomiti che la sfinivano: la rottura del legame è in moto. Questo lento suicidio, rivolto alla sua famiglia e al mondo, aveva abolito il tempo, prima di metamorfosarsi in radicalizzazione. I jeans strappati e il maglione oversize erano scomparsi sotto il burka, Souad si chiudeva nel silenzio e non si staccava da internet dove, con complici sconosciuti, scambiava mail piene di collera contro la sua famiglia di «apostati, peggiori dei miscredenti» e preparava il suo viaggio «laggiù», per farsi sposa occasionale di combattenti poligami, madre prolifi ca di martiri o kamikaze lei stessa. 
Diffidente e taciturna, restia alla psicoterapia come molti adolescenti, Souad si è tuttavia lasciata sorprendere dalla seduta di «psicoterapia analitica multiculturale» svolta insieme a una decina di uomini e donne di tutte le origini e di diverse competenze, che non ponevano domande, non facevano diagnosi né esprimevano giudizi (...). 
La ragazza (...) comincia a trovare piacere nel raccontarsi, nello scherzare con il gruppo, nel ridere con gli altri e di se stessa. Riprendere contatto con il francese, addomesticare con il linguaggio le pulsioni e le sensazioni in sofferenza, trovare le parole per farle esistere, disfare e rifare, condividerle: la lingua, la letteratura, la poesia, il teatro ingabbiano la mancanza di senso e sventano il nichilismo. (...). 
L’avvicinamento degli adolescenti «radicalizzabili» fa parte della guerra virale che si diffonde nel mondo, e di cui gli attentati orditi dal terrorismo islamista e i nostri bombardamenti aerei sono solo la versione militare. 
Guerra virale, perché opera, invisibile e invasiva, con formazioni anch’esse (se non più) antiche e resistenti, altrettanto integranti e distruttrici dell’umanità quanto lo sono i virus per le nostre cellule: la guerra virale opera attraverso la pulsione di morte e il male radicale che coabitano con gli organismi viventi e le identità psichiche e che, in talune circostanze, distruggono i loro ospiti e diffondono la malignità attraverso il mondo.

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