lunedì 6 giugno 2016

Il calcio in Unione Sovietica



Dribbling e rivoluzione 
Europei 2016. La Russia torna agli europei e fra due anni ospita i mondiali. Mario Alessandro Curletto, docente di lingua e letteratura russa, racconta la storia del complicato rapporto con il calcio

Pasquale Coccia Alias Manifesto 5.6.2016, 23:29 
Alla prima edizione degli Europei di calcio, nel 1958, l’Urss si aggiudicò la coppa, sconfiggendo 2 a 1 la Jugoslavia a Parigi. Fu il trionfo del calcio di Stato iniziato con la Rivoluzione d’Ottobre. La Russia torna a giocare in Francia con un livello tecnico basso e tra due anni ospiterà i mondiali. Sul calcio russo di ieri e di oggi ne parliamo con Mario Alessandro Curletto, docente di Lingua e Letteratura Russa all’Università di Genova, autore di Spartak Mosca, storia di calcio e potere nell’Urss di Stalin; I piedi dei soviet. Il futbòl dalla Rivoluzione d’Ottobre alla morte di Stalin. Con Romano Lupi ha pubblicato Jasin, vita di un portiere, tutti editi da il melangolo. 
Quando nasce il calcio in Russia? 
In Russia il calcio arrivò via mare, portato a Pietroburgo dai marinai e dai commercianti inglesi nell’ultimo decennio dell’800. Si cominciò con brevi esibizioni dimostrative, eventi di contorno a gare di sport allora più seguiti, soprattutto il ciclismo. Il primo torneo ufficiale si svolse nella capitale zarista nel 1901: vi parteciparono tre squadre, interamente composte da britannici. Negli anni successivi entrarono in lizza anche squadre indigene, e nel 1908, dopo la prima vittoria di un torneo da parte di un club russo, i britannici si ritirarono. Da Pietroburgo il calcio si diffuse nelle principali città dell’impero, a Mosca, ma anche a Char’kov, Odessa, e successivamente nelle grandi città del bacino del Volga. Date le lunghe distanze e i conseguenti problemi organizzativi, i tornei avevano una dimensione cittadina. Il primo torneo panrusso, non per club, ma per rappresentative cittadine, si svolse nel 1912, vi presero parte le selezioni di Pietroburgo, Mosca e Char’kov. Una partecipazione così limitata non inganni, il calcio era già molto popolare, sia a livello di praticanti sia di pubblico. Nel 1912 fu fondata l’Unione Calcistica Panrussa, che un anno dopo contava circa centocinquanta club affiliati, il calcio era uno sport e uno spettacolo appannaggio della classe medio-alta. Molte squadre nacquero in seno a circoli sportivi già esistenti, una compagine moscovita si chiamava Circolo degli Sciatori. Nella fase pionieristica il calcio conobbe la figura di un mecenate, uno della famiglia dei Morozov, alla quale si deve l’acquisto dei quadri degli impressionisti oggi esposti all’Ermitage. I Morozov erano imprenditori moscoviti, uno di loro, appassionato di calcio, importava dall’Inghilterra tecnici e ingegneri per le sue aziende e tra i requisiti richiesti c’era anche quello di saper giocare a calcio. Grazie a questa prassi, la squadra del sobborgo moscovita di Orechovo-Zuevo, posseduta dai Morozov , divenne la più forte della Russia pre-rivoluzionaria. Fuori da questo calcio “borghese” restavano squadre competitive, ma escluse dai campionati perché non avevano le risorse economiche per iscriversi, come la Kazanka, squadra di un deposito ferroviario moscovita, da cui sarebbe nato il Lokomotiv Mosca. In quegli anni la classe operaia delle grandi città russe si era già appassionata al calcio e lo viveva con lo stesso spirito con cui si dedicava a uno sport detto “muro contro muro”: combattimenti di massa in cui si affrontavano a pugni due squadre di diverse decine di persone, dai ragazzini ai trentenni. Questa stessa gioventù vigorosa e animosa praticava il cosiddetto “calcio selvaggio”, giocato nei cortili e negli spazi incolti di periferia, con l’applicazione elastica delle regole codificate. Esisteva anche il calcio giovanile, a Mosca per esempio si svolgeva un torneo tra le squadre degli istituti scolastici superiori, dai licei ai seminari, spesso ad aggiudicarsi il trofeo furono proprio i seminaristi. 
Con la Rivoluzione d’Ottobre? 
Ci fu una “turbolenta” fase di passaggio, i circoli sportivi furono nazionalizzati e aperti a tutti. La sede della squadra di Orechovo-Zuevo, dei Morozov, fu destinata a biblioteca per gli operai, scelta che indica chiaramente quali fossero le priorità per i bolscevichi. Finita la Guerra Civile, il calcio fu al centro di un aspro dibattito ideologico: alcuni lo deploravano perché portava con sé faziosità, scommesse, violenza sia in campo sia tra il pubblico. Il calcio era troppo amato dalla classe operaia e da vasti strati della società sovietica per essere messo al bando. Tuttavia, per attenuare gli aspetti diseducativi si pensò a correttivi talvolta grotteschi: il Proletkul’t propose di dividere il campo in caselle e sistemare in ognuna un calciatore, che avrebbe potuto colpire la palla ma non poteva muoversi dal suo quadrato, scongiurando così il contatto fisico, foriero di violenza. Per salvare il calcio da assurdi stravolgimenti non bastava dire “il gioco ci diverte così com’è” occorreva sostenerlo con motivazioni ideologiche: l’idea vincente fu di spacciarlo per una sorta di attività propedeutica alla difesa armata delle conquiste del proletariato, dato che educava lo spirito di gruppo, la fermezza, la rapidità di decisione, la determinazione, la destrezza. 
E con Stalin? 
Il calcio, come lo sport in genere, venne in gran parte “militarizzato”: i club più importanti dipendevano dal ministero degli Interni (tutte le Dinamo, delle varie città) o dall’esercito (il CDKA poi CSKA di Mosca e gli SKA delle altre città). I due poli sportivi, presenti in tutto il paese, avevano a disposizione tutti i calciatori per il periodo del servizio militare, e avevano ampie possibilità di tenere con sé i migliori anche per il resto della carriera. I club “civili” come il Lokomotiv (Ferrovie) o le Kryl’ja Sovetov (industria aeronautica) erano relegati in una posizione subordinata rispetto a quelli militari, che temevano la concorrenza del solo Spartak Mosca, club anomalo, nato in modo spontaneo nel più antico quartiere operaio di Mosca, la Presnja. I fratelli Starostin, cofondatori e anima dello Spartak, si muovevano nell’URSS staliniana con una disinvoltura inaudita e pericolosa: trovarono sponsor in aree meno invadenti del potere sovietico, il Komsomol e le industrie produttrici di beni di consumo. In questa squadra, vincente negli anni Trenta, si identificavano essenzialmente due strati della società poco affini tra loro ma accomunati dalla poca simpatia per le divise militari: gli operai e gli intellettuali. L’anomalia e i successi dello Spartak furono pagati dagli Starostin, con dodici anni di gulag, e la loro vicenda ebbe un lieto fine solo grazie alla morte di Stalin e alla conseguente pena capitale inflitta a Berija. Durante l’era staliniana il calcio consolidò il proprio successo, il primo campionato sovietico data 1936, assurse a vero e proprio fenomeno di massa, fu popolare in ogni strato della società e perfino fonte di ispirazione per la letteratura, il cinema, le arti figurative. 
Il calcio nella Russia di Putin? 
Gli stadi non sono più pieni come nell’epoca sovietica, quando il tifo organizzato era vietato, ma si vedevano signori in giacca e cravatta e signore in abiti eleganti e cappellino, come a teatro. Oggi il pubblico sugli spalti scarseggia, i gruppi ultras esistono e quanto a rituali somigliano a quelli del resto d’Europa, con l’eccezione del tifo organizzato dello Zenit, le cui convinzioni razziste appaiono forse più radicate e pervasive della media. In realtà in Russia ci sono molti giocatori di colore, specialmente africani, che giocano sia nelle squadre moscovite sia in quelle di provincia. 
In vista dei mondiali del 2018? 
Dal punto di vista strutturale, il calcio russo presenta luci e ombre, lo stato degli impianti è positivo, in Russia alcuni stadi sono modernissimi, altri sono in costruzione per i mondiali, mentre il sistema presenta delle indubbie fragilità, per esempio, delle sedici squadre che hanno partecipato al massimo campionato appena concluso, solo due, Spartak Mosca e Krasnodar, sono finanziate da privati, tutte le altre vivono di finanziamenti pubblici. Quando, per effetto della crisi economica, le sovvenzioni subiscono una drastica riduzione, le difficoltà finanziarie si trasformano in profonde crisi tecniche, come testimonia la retrocessione in seconda serie della Dinamo Mosca.

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