giovedì 20 ottobre 2016

Barbero su Cavour

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Così Cavour creò l’Italia per far dispetto al fratello 

Torino, la lezione di Alessandro Barbero al grattacielo Intesa “Lo storico scopre le passioni comuni dietro i grandi uomini” 

Alessandro Barbero Busiarda 20 10 2016
La storia del Novecento ha messo fine al dibattito se un singolo individuo possa, o no, influenzare la storia. Può eccome; tanto più che la storia, vista dagli storici d’oggi, non ha più quella razionalità e quella logica che in passato si tendeva ad attribuirle. È un percorso molto più accidentato, influenzato dal caso e, appunto, dagli individui che si trovano in posizione di potere. Quelli che riescono a usarlo efficacemente, influenzando il corso degli eventi, passano alla storia come grandi uomini (con qualche dubbio, semmai, nel caso di quelli che per raggiungere i loro scopi hanno commesso grandi delitti o comunque ammazzato molta gente, da Gengis Khan a Stalin).
Vizi e virtù
Ingenuamente, il pubblico crede a questo punto che i grandi uomini a cui erigiamo statue di marmo nelle nostre piazze fossero impeccabili, e rimane costernato quando scopre che per molti versi erano uomini come gli altri, pieni di difetti, di contraddizioni, a volte di vizi. Illuminare tutti gli aspetti del carattere e della vita di un grand’uomo non significa divertirsi a guardarlo, come un cameriere, dal buco della serratura; significa, invece, avvicinarci a capire com’è che funziona davvero il potere.
Prendiamo, ad esempio, il conte di Cavour, protagonista del Risorgimento. Guai a dimenticare che si chiamava Camillo perchè il suo padrino di battesimo, nel 1810, fu il principe Camillo Borghese, governatore napoleonico di Torino, e madrina la moglie, Paolina Bonaparte, sorella dell’imperatore. Questo è il livello a cui si muoveva il padre, importante cortigiano e affarista sia sotto Napoleone, sia dopo il ritorno dei Savoia, quando sarà sindaco di Torino e capo della polizia. Camillo era nato in una famiglia nobile, ricca e potente e quando, a dieci anni, entra nell’Accademia Militare i registri rivelano che viene spesso punito per «l’arrogante rifiuto di obbedire agli ordini» e «il tono perentorio» con cui si rivolge agli altri. Più tardi, qualcuno ricorderà di lui: «mai avrebbe dato del tu a un amico non nobile».
Arrogante
Ma c’è un ma: questo giovanotto arrogante è il figlio cadetto. Secondo l’usanza del suo mondo, il fratello Gustavo erediterà tutto, lui niente, o quasi. «L’idea di essere cadetto continua a ossessionarlo, non la può accettare; sarà il tormento della sua vita» scrive in una lettera l’amatissima zia Vittoria. È anche per questo che litiga furiosamente col padre, il quale minaccia «di mandarlo a morire di fame in America»; ed è per questo, concludono i familiari, che invece di adeguarsi, come Gustavo, ai valori tradizionalisti di una famiglia reazionaria, cattolica e benpensante, il giovane Camillo si butta a sinistra. Fino a un certo punto, s’intende: non è certo un rosso, né un democratico; però è un liberale, ed essere liberali, nel suo ambiente, significa essere pericolosi estremisti, sovversivi e rivoluzionari. 
«Il povero ragazzo è completamente preso dalle rivoluzioni», commenta la zia Vittoria; il re Carlo Alberto, non ancora convertito allo Statuto, diffida di lui («un carbonaro impertinente»), e quando il papà lo manda per affari a Milano, Camillo è convocato dalla questura e scopre di essere già schedato dalla polizia austriaca.
Disilluso
Ma la politica nel Piemonte reazionario e asfittico della Restaurazione è solo un sogno. A ventidue anni, in una lettera alla marchesa di Barolo, Camillo rivela la sua disillusione rispetto ai sogni dell’adolescenza, quando «avrei creduto del tutto naturale risvegliarmi un bel mattino primo ministro del Regno d’Italia». È il 1832 e che di lì a ventinove anni il sogno si realizzerà non può davvero pensarlo nessuno. Camillo si accontenta di un altro obiettivo: diventare ricco. Ci si applica con impegno, e siccome è un genio, s’impadronisce rapidamente dei meccanismi dell’economia; scrive e pubblica importanti lavori di politica economica, in cui ragiona sui problemi economici non del regno di Sardegna, ma dell’Italia. Poi comincia a mettere in pratica quel che ha imparato. All’inizio gli va male: a trent’anni, da Parigi, scrive al padre di aver perso, giocando in borsa, 45.000 franchi (mezzo milione di euro di oggi): «Bisogna pagare o farsi saltare le cervella». Il papà paga. Camillo impara a fare speculazioni più sicure, diventa azionista di banche e ferrovie, investe nella modernizzazione delle risaie di famiglia, alla fine realizza il suo obiettivo: è uno degli uomini più ricchi del regno. 
Politico
Non ha ancora quarant’anni, cosa gli resta da fare? Proprio allora arriva il ’48, e con esso il mondo nuovo: lo Statuto, i partiti, la stampa libera, le elezioni, il parlamento. Camillo ci si butta, non potrebbe fare diversamente. Siccome sa fare bene tutto, fa bene anche quello, schiacciando senza scrupoli chiunque si opponga, e nel giro di tre anni diventa prima deputato, poi ministro, poi primo ministro; continuando, beninteso, ad abitare a casa del fratello, perché il palazzo di famiglia è andato a Gustavo. Ha rinunciato anche a sposarsi, perchè un figlio cadetto non si sposa; anche se negli ultimi anni la relazione con la sua mantenuta, la ballerina ungherese Bianca Ronzani, ha tutta la dolcezza affettiva di un matrimonio.
Questo, e altro, noi lo sappiamo oggi, perché il privilegio dello storico è di leggere i diari e le lettere private dei potenti, e di sapere sul loro conto molte più cose di quelle che sapeva il pubblico del tempo. Ne esce diminuito, l’uomo di marmo? Io non credo: semplicemente, ne esce un uomo, non un monumento. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

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