giovedì 3 novembre 2016

L'Italia del 2016 prosegue idealmente le decimazioni punitive di classe contro i fanti disobbedienti della Prima guerra mondiale


La navetta sulla storia, anche la Grande Guerra divide il Pd
Onorevoli conflitti. Legge sui ’fucilati di Cadorna’. La camera li riabilita, il senato cancella tutto e solo «li perdona»

Daniela Preziosi Manifesto ROMA 3.11.2016, 23:59 
Alla vigilia della festa delle Forze Armate fra le camere si consuma un litigio all’arma bianca sull’amaro caso dei fucilati della Prima Guerra Mondiale e sulla temibile figura del generale Luigi Cadorna. Diffidare delle apparenze: non è una disputa storica, o fra esegeti in divisa della parola «onore». E la trincea sul «cadornismo» – che Gramsci ci perdoni – vede su fronti opposti, per una volta trasversalmente, militari e non. 
La faccenda inizia due anni fa con un appello che un piccolo esercito di storici e intellettuali (fra gli altri Alberto Monticone, Luciano Canfora, Giulio Giorello, Mimmo Franzinelli, Antonio Gibelli, Nicola Tranfaglia) scrive al Quirinale e al premier Renzi, nell’imminenza delle commemorazioni del centenario della Grande Guerra. La richiesta è che siano riabilitati e annoverati nel giusto posto di «caduti per la patria» i soldati italiani fucilati «per mano amica». Un migliaio di ragazzi e ragazzini, le cosiddette ’vittime di Cadorna’: 750 fucilati dopo ’regolare’ processo e altri 300 morti fra fucilazioni sommarie e decimazioni per ordine dello stesso esercito in base alle famigerate circolari di quello che poi fu Maresciallo d’Italia – la più nota sarebbe stata ispirata dal suo consigliere psicologico Padre Agostino Gemelli – che consentivano agli alti comandi e ai tribunali di andare ben oltre i limiti imposti dalla legge. I soldati erano colpevoli di reati disciplinari per i quali non era prevista la pena di morte; oppure avevano cercato di evitare inutili massacri mettendo in discussione l’ordine di assaltare postazioni inespugnabili. Mala loro morte doveva essere «un salutare esempio» contro «la propaganda demoralizzatrice». In casi simili, in altri paesi l’onore è stato restituito da tempo. In Italia no. 
Nel maggio 2015 arriva la svolta. La commissione difesa della Camera, all’epoca presieduta dal forzista Elio Vito, approva all’unanimità (solo un astenuto) un testo che dispone la riabilitazione della maggior parte dei fucilati. I più noti sono alpini, famosi quelli di Cercivento, le loro famiglie da anni aspettano. Titoli dei giornali, applausi generali. Concordia nazionale? E invece no. 
La legge passa al senato, alla commissione difesa presieduta dal dem Nicola Latorre. Lì ha una lunga battuta d’arresto. Fino ai giorni scorsi quando viene depositato un testo tutto nuovo che sopprime quello precedente e lo sostituisce con un articolo unico in base al quale la Repubblica «onora la memoria dei propri figli in armi fucilati senza le garanzie di un giusto processo, e offre il proprio commosso perdono a chi pagò con la vita il cruento rigore della giustizia militare del tempo». Una decina di deputati insorge, in testa Gian Piero Scanu, anche lui Pd, che accusa: «Sconcertante, così si arriva a giustificare le decimazioni». 
La replica di Latorre è durissima, si potrebbe dire cingolata: «La demagogia non serve, una riflessione storica seria su queste vicende è doverosa, ma la camera ha preso una decisione incompatibile con la logica legislativa. Paesi come la Francia e la Gran Bretagna non hanno demandato alla legge l’iniziativa sui morti a causa dei principi vigenti all’epoca, che pure oggi ci sembrano inaccettabili». Latorre non ha dubbi: «La riabilitazione è proponibile solo per i vivi». E in più: «La camera ha nominato un comitato di storici presieduto dall’ex ministro Arturo Parisi, ma poi non li ha mai consultati». E se a Montecitorio comunque il testo aveva ricevuto l’unanimità dei consensi, «qui al senato Forza Italia è stata molto critica, e così molti altri. L’alternativa era archiviare tutto. Ho scelto una giusta mediazione: offriamo il riconoscimento dell’onore per gli ingiustamente fucilati e il perdono per i giustiziati in base alle regole militari allora vigenti». Insomma, i morituri (eventuali) del senato in attesa di estinzione indossano l’elmetto. E, neanche a dirlo, il Pd si divide. Ma no, corregge Latorre: «Non esiste alcuna posizione del Pd su questo. C’è una rispettabile iniziativa di alcuni parlamentari di diversi partiti sulla quale i senatori della mia commissione hanno apportato le modifiche ritenute opportune. Sperando che si approvi una legge che restituisca onore a quei soldati». Onore, ma non riabilitazione. 

* sul tema, domani 4 novembre alle 10 e 30 a Vittorio Veneto si terrà il convegno dal titolo ‘I fucilati della Grande Guerra: onor perduto?’ Intervengono il professor Guglielmo Cevolin dell’Università di Udina, Sergio Dini, sostituto procuratore presso il Tribunale di Padova, e i deputati Giorgio Zanin e Gian Piero Scanu

QUEI CADUTI DEL ’15-18 GIUSTIZIATI DUE VOLTE 
PAOLO RUMIZ Rep 6 11 2016
GIUSTIZIATI due volte? Con uno schiaffo istituzionale che ha pochi precedenti, il Senato azzera il decreto sulla riabilitazione dei fucilati della Grande Guerra, approvato all’unanimità dalla Camera il 24 maggio del 2015, giorno della memoria in cui si vollero riabbracciare anche i ragazzi della “mala morte”. Tutto ribaltato: non più revisione dei processi, ma concessione magnanime del perdono. Soprattutto, nessuna riabilitazione, per evitare che «i Caduti nell’adempimento del dovere si trovassero considerati alla stregua di chi si è sottratto al dovere».
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ASEGUIRE, un pignolissimo elenco di distinguo sul testo originale, che di fatto blocca il procedimento e rimette l’Italia in coda tra i Paesi belligeranti che, a distanza di un secolo, hanno riammesso nell’elenco dei Caduti tutti i fucilati senza distinzione.
«Ho servito la patria in divisa, ma non mi ci riconosco più», è il commento amaro di Mario Flora, nipote di uno dei fucilati di Cercivento, sui monti della Carnia, uno degli episodi più neri della giustizia militare italiana. E aggiunge: «Rifiuto qualsiasi legge su questi presupposti e rigetto il perdono a degli innocenti». «Li hanno fucilati di nuovo», va giù duro Gian Piero Scanu, Pd, primo firmatario alla Camera. «Così si avalla la tesi che Norimberga fu un’ingiustizia, perché si condannarono militari ligi agli ordini», fa eco il compagno di partito Giorgio Zanin, relatore della legge. Reazioni furenti, soprattutto perché a sconfessare il testo originale è stato un altro Pd, Nicola Latorre, un passato dalemiano di ferro, con agganci forti alla lobby militare (memorabile il suo discorso sugli F 35: «Dire tagliamo i caccia per fare asili nido è demagogia o disinformazione »).
Sono partite lettere di protesta per una riscrittura ritenuta offensiva nei confronti dei deputati e anche dell’attenzione dimostrata dalla Presidenza della Repubblica in merito a un atto che avrebbe riconciliato l’Italia con un pezzo della sua memoria. Cosa è accaduto? Mistero. Certamente non basta il fatto che Forza Italia, che aveva votato compattamente a favore alla Camera, si sia messa di traverso e che il bellicoso (ma riformato alla leva) senatore Maurizio Gasparri abbia sparato a zero contro «una riscrittura della storia di orwelliana memoria» avallata alla Camera dal suo stesso partito. «Non si capisce quali pressioni abbiano determinato il voltafaccia», osserva il professor Marco Cavallarin, firmatario della petizione che, due anni fa, ha posto la questione al Paese con argomenti poi rilanciati da Repubblica. La spaccatura più vistosa è nella maggioranza. Forse per evitare che si mettesse in discussione la giustizia militare nel suo complesso, dalle carceri ai tribunali speciali.
In realtà non si è compreso che un’attenta rilettura dei processi – così come chiede il decreto nella sua formulazione originale – avrebbe semmai riabilitato alcune delle procedure processuali dell’Esercito di allora, le quali furono non a caso accusate di “eccessiva mitezza” dal comandante in capo delle Forze Armate, Raffaele Cadorna. Nel suo libro Alpini alla sbarra, lo storico Damiano Leonetti spiega in proposito come mezzo battaglione di Penne Nere, sottoposto a processo regolare per aver rifiutato un attacco suicida sulla Croda Rossa di Sesto nell’agosto del 1915, fu assolto per riconosciute attenuanti e per il coraggio dimostrato in precedenti attacchi. Il problema sorse dopo il primo anno di guerra, quando il generalissimo, incapace di sfondare, scavalcò il codice penale militare – ritenuto troppo garantista - e vergò le sue famigerate circolari. Quelle che introdussero il terrore nella catena di comando, dando via libera alle fucilazioni sommarie e alle decimazioni per sorteggio, ovviamente a spese della sola truppa. La cosiddetta carne da cannone.
Non a caso, nel nuovo testo, la parola “decimazioni” viene omessa e sostituita con “cruento rigore”, a far intendere che non ci sarà riabilitazione per i poveri cristi. I motivi? Si sprecano. Non si sa mai, i discendenti potrebbero nutrire «aspettative economiche risarcitorie, e di recupero di emolumenti mai corrisposti». Al che si aggiunge la beffa, se non l’insulto, di sottomettere la redenzione di morti ammazzati a una loro «condotta positiva successiva alla condanna» resa impossibile dalla sentenza (analogamente, a suo tempo ai parenti di fucilati che chiedevano la revisione del processo fu risposto che «la domanda poteva essere posta solo dall’interessato»...). E poi, si afferma, i senatori non possono chiedere perdono per pene inflitte in nome del Re, e poi il Tribunale militare di sorveglianza non ha risorse adeguate, e poi l’Albo d’oro è chiuso da cinquant’anni, e bisognerebbe riscriverlo daccapo. Eccetera eccetera. Vietato giudicare il sistema Cadorna. Vietato soprattutto che le scuole siano coinvolte nel riesame, come si chiedeva all’inizio, e ciò, si afferma, per insufficienza delle «basi culturali di un adolescente ». Scuse a valanga, pur di non rileggere la storia.

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