venerdì 3 febbraio 2017

Un eroe del nostro secolo

Ray Kroc con Robert Anderson: La vera storia del genio che ha fondato McDonald’s, Newton Compton 
     
Risvolto
Pochi imprenditori possono affermare di aver davvero cambiato la società e il nostro modo di vivere. Ray Kroc, il fondatore della catena di fast food più famosa al mondo, McDonald’s®, è uno di loro. Le sue grandi intuizioni nell’ambito della ristorazione, del franchising, della pubblicità, gli hanno riservato un posto d’onore nell’olimpo degli uomini e delle donne che hanno creato, con le loro imprese, dei veri e propri imperi. In questa autobiografia Ray Kroc racconta i passi decisivi della sua vita, la formazione, le persone che gli sono state vicine, il suo costante impegno nel lavoro, i successi e le inevitabili difficoltà. Il libro non è un’apologia del classico self-made man americano, ma il racconto affascinante e onesto di un uomo capace di trasmettere un grande entusiasmo. Un numero uno, da cui imparare molto.

Il clown che portò al trionfo globale l’hamburger 
Ferdinando Fasce Manifesto 2.2.2017, 18:56 
«Infine, le patate finivano in cestini di metallo e sistemate in stile catena di montaggio accanto alle friggitrici». Così, a pagina 19 (su 255 totali) della sua autobiografia, Ray Kroc, il «genio», che come dice il titolo, «ha fondato McDonald’s» (Ray Kroc con Robert Anderson, La vera storia del genio che ha fondato McDonald’s, Newton Compton, euro 10. Il libro ha ispirato il film da poco nelle sale The founder), fornisce la chiave di lettura della sua straordinaria esperienza imprenditoriale. 
L’ESPRESSIONE «catena di montaggio» compare altre sei volte nel libro. E giustamente. McDonald’s è sempre sembrata una catena di montaggio messa in vetrina, un po’ come si fece all’Esposizione di San Francisco del 1915, quando nel padiglione Ford venivano esibiti operai che in tempi rapidissimi, montavano un modello T. Sotto i «due archi» di Mac i ritmi li dettano, inconsciamente, i nostri occhi di consumatori, preoccupati di addentare il nostro «mac» senza perdere il treno. 
SAREBBE SCIOCCO attendersi osservazioni di questo tipo dal libro. Per Kroc catena di montaggio è sinonimo di tempismo, perfezione, qualità, servizio. Ma sempre, e qui sta la sua indubbia «genialità» – per questo il libro dovrebbe essere distribuito ai manager – veri e pseudo, di oggi, partendo dai «dettagli», dalla «parte». Perché, dice il «fondatore», «io non credo nelle grandi invenzioni… non applico idee su larga scala finchè non ho perfezionato tutti i dettagli». 
Sembra di leggere H. Igor Ansoff e la sua teoria dei «segnali deboli», le cose apparentemente minori che dovrebbero sempre guidare l’azione dei leader. E invece chi parla non è un tipo da Harvard Business School, anche se la prefazione al libro gliel’ha scritta il preside della scuola di business del prestigioso Darmouth College. 
È un ex ragazzotto, nato e cresciuto a Chicago nel primo Novecento, in una famiglia di origine boema per parte di padre, che il college neppure l’ha cominciato. Ha smesso la scuola alquanto presto, al secondo anno delle superiori. Ma l’ha smessa, si badi, non perché la famiglia (padre impiegato, poi dirigente della Western Union, madre casalinga e maestra privata di piano) non se lo potesse permettere. Piuttosto perché la scuola «era troppo lenta» (ma non date questo libro in mano a quelli della «buona scuola», sennò chissà che cosa ne tirano fuori). 
ECCO ALLORA il nostro venditore nato, come giustamente si autodefinisce, compiere una breve pratica nel bar dello zio, per allenarsi al gusto dei clienti. Per diventare, a cavallo degli anni «ruggenti», appena ventenne, commesso viaggiatore dapprima di caffè, poi di bicchieri di carta. E poi ancora, agente immobiliare nel gran boom (e altrettanto clamoroso flop) della Florida di metà decennio. Non senza qualche puntata nello show business, a suonare il piano, che gli ha insegnato la madre e gli serve a sensibilizzarsi ai «ritmi» di qualunque ambiente lavorativo, nei locali. Finché diventa rappresentante del frullatore Multimixer e nell’immediato dopoguerra ne piazza ottomila in un anno. In quel ruolo, a cinquantadue anni suonati, nel 1954, decide di prendere un aereo per la California, per visitare il drive in, il ristorante a basso prezzo di hamburger, patatine e frullati, dei fratelli McDonald, dove ha sentito dire che «lavorano» addirittura otto Multimixer contemporaneamente. 
Guarda col suo occhio clinico la struttura, parla con i McDonald, si fa due conti in testa, pensando ai possibili mercati che questo tipo di locale potrebbe facilmente saturare, se trasformato in una catena. Il resto è leggenda. 
L’IDEA DI BASE è quella, apparentemente semplicissima (Kiss, ovvero keep it simple, stupid! è uno dei suoi motti) di un venditore che risale tutta la filiera produttiva e affitta il marchio in franchising a gestori, autonomi, ma sottoposti a rigorosi standard di tipo produttivo definiti da un reparto Ricerca e sviluppo e trasmessi mediante un non meno efficiente ufficio Formazione. 
In quest’ultimo entra a lavorare addirittura un addottorato della Pontificia Università Lateranense, sulla carta «troppo istruito», ma che poi risulta (il fiuto di Kroc non mente) abilissimo anche come manager immobiliare. In meno di dieci anni, Kroc si rende indipendente dagli occhiuti McDonald e, nell’arco dei due decenni successivi, il «fondatore» realizza il suo progetto di «espansione in ogni angolo e fessura del mondo». 
Sullo straordinario successo del «burger degli archi» il libro, scritto originariamente nel 1977, sette anni prima della scomparsa di Kroc, si chiude. A un’altra puntata la storia delle battaglie con le organizzazioni sindacali, dei consumatori e dei no global, della concorrenza incalzante di Burger’s King, del nuovo volto, verde ed «ecologico», dell’impresa, dei confronti odierni con Starbucks.

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