mercoledì 29 marzo 2017

Renziano spacciatore di populismo si lamenta del populismo

L’Europa alla prova del tre 

Le elezioni in Francia, Germania e Italia decisive per l’avvenire dell’Ue Se vincono i populismi, si blocca il processo di integrazione economica e culturale. E per i giovani aumenta il rischio della disoccupazione La lezione dell’economista che inaugura oggi Biennale Democrazia 

Tito Boeri Stampa 29 3 2017
Le prossime elezioni politiche in Francia, Germania e Italia segneranno, con ogni probabilità, il futuro non solo dell’euro, ma anche dell’Unione Europea, almeno per come la conosciamo. Tre elezioni con un comune denominatore, la possibile affermazione di partiti «populisti» che offrono ai perdenti un messaggio semplice quanto pericoloso: interrompere il processo di integrazione europea e chiudere le frontiere agli immigrati, per meglio proteggere le persone più vulnerabili dalle sfide della globalizzazione. È un messaggio che mina alle basi il principio della libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione Europea su cui si fonda, a partire dal Trattato di Roma, il processo di integrazione politica ed economica europea. È un messaggio che toglie soprattutto ai giovani la migliore assicurazione sociale contro la disoccupazione di cui oggi possano disporre. La mobilità dei giovani è anche un potente fattore di integrazione culturale. Non è un caso che i giovani, la componente più mobile della popolazione, si riconoscano molto di più dei loro genitori nell’identità europea. Un’Europa che ripristina rigidi confini nazionali, che erige muri al suo interno, diventa una mera entità geografica, anziché un progetto di integrazione. 
Rimuovere le iniquità
Il populismo offre le risposte sbagliate ai problemi da cui trae la propria forza. Di più, induce a pensare che i problemi più spinosi possano essere risolti semplicemente sostituendo i politici corrotti con rappresentanti del popolo, possibilmente che non abbiano alcuna esperienza di governo. Il modo migliore di evitare nuove cocenti delusioni a chi ha già pagato uno scotto elevato alla globalizzazione e alla crisi è affrontare i problemi alla radice anziché accettare le libere associazioni della propaganda populista. Bisogna rimuovere quelle iniquità che trasmettono all’opinione pubblica l’immagine di una classe dirigente corrotta che pensa solo ai propri interessi. Dimostrare nei fatti che le regole dello Stato sociale si applicano anche a chi ha posizioni di potere. Bisogna poi rispondere in modo convincente alla richiesta di protezione, separando i problemi dello Stato sociale da quelli dell’immigrazione. Sono due problemi disgiunti, che vanno affrontati a un differente livello di governo. Il problema dello Stato sociale è un problema che riguarda principalmente le singole giurisdizioni nazionali. Quello dell’immigrazione è un problema che non può che essere affrontato a livello europeo.
Ci vuole inevitabilmente del tempo affinché le riforme dei sistemi di protezione sociale vengano portate a compimento. Mentre questo lavoro procede, è fondamentale che le esigenze di chi si sente al margine, di chi è più vulnerabile, trovino voce. C’è una ragione profonda per cui i populisti odiano i corpi intermedi: sono il miglior antidoto contro il populismo. È una questione di fiducia, prima ancora che di rappresentanza. Quando sei debole e insicuro cerchi qualcuno di cui poterti fidare. Se non lo trovi, non ti rimane che scommettere con la forza della disperazione sulle promesse di qualche bravo oratore, pur sapendo che molto probabilmente non verranno mantenute. Il sindacato ha oggi grandi responsabilità di fronte all’avanzata del populismo. Che credibilità può avere un sindacato italiano che si oppone all’introduzione di un salario minimo in Italia, nonostante fosse previsto dai decreti attuativi del Jobs Act? Perché non pensa innanzitutto a proteggere i più poveri, selezionando i beneficiari di assistenza in base alla situazione economica e patrimoniale della famiglia nel suo complesso?
Gestione comune
Affinché l’Unione Europea sopravviva come area in cui vige la libera circolazione dei lavoratori, occorre avere una politica dell’immigrazione comune e una gestione comune del problema dei rifugiati, con una profonda revisione della convenzione di Dublino. Occorrerebbe, inoltre, un accordo almeno sulla condivisione tra i singoli Stati della prima accoglienza dei rifugiati, una volta che questi siano entrati nell’Unione. Forme di compensazione tra Paesi o addirittura un sistema di quote che possano essere oggetto di negoziati bilaterali e di scambi tra i diversi Paesi, servirebbero a rendere sostenibile questa condivisione dei costi iniziali dell’accoglienza.
Inutile sottolineare che siamo molto lontani dal poter realizzare questo disegno, anche perché i partiti populisti sono al potere in cinque Paesi dell’Unione. C’è comunque qualcosa che si può fare sin d’ora e in gran parte per via amministrativa, senza bisogno di nuove leggi, per venire incontro alle preoccupazioni di molti europei, soprattutto quelli meno mobili e più a rischio di perdere il lavoro, preoccupati per il futuro dello Stato sociale. 
La mobilità dei lavoratori
Non bisogna negare che l’Unione Europea sin qui non si è mai data strumenti adeguati, per monitorare la mobilità dei lavoratori all’interno delle sue frontiere, non ha ancora costruito un’infrastruttura informatica e amministrativa adeguata per mettere pienamente in pratica i principi sanciti dal Trattato di Roma. In particolare, sin qui non c’è stato coordinamento tra le amministrazioni dello Stato sociale nei singoli Paesi per ridurre l’evasione contributiva e per prevenire potenziali abusi da parte dei lavoratori che si spostano da un Paese all’altro.
È importante che si avvii un confronto tra le amministrazioni nazionali che gestiscono i programmi di protezione sociale in Europa con l’obiettivo di istituire un codice di protezione sociale che valga per tutti i Paesi dell’Unione Europea. Ci sono soluzioni tecniche, già studiate all’Inps, tali da minimizzare i problemi di adeguamento delle strutture informatiche nei diversi Paesi. Questo codice unico dovrebbe permettere la piena portabilità dei diritti sociali tra Paesi e un migliore monitoraggio dei flussi migratori all’interno dell’Unione, impedendo il welfare shopping. 
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