Un uomo di sinistra, al futuro
La passione di un maestro di vita
Il suo immenso carisma credo avesse molto a che fare con la passione che egli riusciva a trasmettere.
Affascinava e coinvolgeva Rodotà quando, con lucida razionalità, disegnava un futuro migliore e allo stesso tempo «possibile».
Ha iniziato ben presto a rappresentare il cambiamento.
Lo ha fatto da studioso, quando giovanissimo ha contribuito in modo decisivo a far cambiare passo alla scienza del diritto civile. Erano gli anni ’60 del Novecento, quando uscirono le sue due prime monografie: una rivoluzione per gli studi del tempo.
Di fronte ad una cultura dei giuristi che ancora si attardava nel formalismo giuridico e faceva resistenza entro uno specialismo che relegava ai margini la costituzione repubblicana, ecco un giovane studioso che dimostrava la necessità del cambiamento. Oltre – e sopra – il diritto civile si staglia la costituzione, l’interpretazione giuridica non può che fondarsi su una legislazione per principi che pone al centro i diritti delle persone reali.
L’attenzione per i diritti ha segnato la vita di Rodotà. Non si è mai sottratto dinanzi alla difficoltà di affrontare certi temi. Dalla proprietà («il terribile diritto») ai beni comuni (una formulazione di cui oggi si abusa, alla quale Rodotà è riuscito per la prima volta e praticamente da solo a dare valore scientifico). Tutti temi trattati con realismo e mai dimenticando la materialità della dimensione dei diritti. In uno dei suoi libri più affascinanti «Il diritto di avere diritti» Rodotà indica la rotta agli studiosi di diritto che si riconoscono entro il progetto del costituzionalismo democratico e pluralista. Bisogna pensare ad un «costituzionalismo dei bisogni», scrive.
Dovremmo meditare a lungo la sua lezione, soprattutto in tempi come i nostri che appaiono dimenticare che è delle persone concrete che bisogna parlare.
Tra le ragioni che hanno portato Stefano Rodotà ad opporsi con grande coraggio e rigore all’ultimo tentativo di cambiare la costituzione v’è sicuramente la percezione che il revisionismo dominante non avesse nulla a che fare con i diritti dei cittadini, semmai ne aumentava la distanza, guardando solo alle ragioni del potere e non invece a quelle dei governati. L’ultima «Carta» di valore costituzionale che è stata scritta porta la sua firma. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, approvata a Nizza nel 2000.
È il catalogo più ampio mai scritto dei diritti e il più impegnato tentativo di far mutare rotta all’Europa: «dall’Europa dei mercati all’Europa dei diritti», come ebbe a scrivere. Dopo la sua approvazione l’Europa «ha voltato le spalle alla Carta» (sono ancora sue parole). Ancora una volta la politica si è dimenticata dei diritti. Ma, se i diritti diventano deboli spetta a nessun altro se non a noi difenderli. «il codice di questa impresa – scrive – ha un nome, e si chiama politica.
I diritti diventano deboli quando diventano preda di poteri incontrollati, che se ne impadroniscono, li svuotano e così, anche quando dichiarano di rispettarli, in realtà vogliono accompagnarli a un malinconico passato d’addio. I diritti, dunque, diventano deboli perché la politica li abbandona. E così la politica perde se stessa, perché in tempi difficili, e tali sono quelli che viviamo, la sua salvezza è pure nel suo farsi convintamente politica dei diritti, di tutti i diritti».
La lotta continua e Rodotà continuerà a farci vedere la rotta. Sit tibi terra levis, Stefano.
Un compagno, che fu subito parte di noi
Qualche settimana fa era seduto nella fila davanti a me al teatro Argentina per vedere l’ultima opera di Mario Martone. Non posso credere, non ci riesco, che non sia più con noi.
Come parlare di Stefano Rodotà, come ricordarlo, spiegarlo ai giovanissimi che certo lo conoscevano di fama, ma che non possono capire il significato della sua presenza politica in questo ultimo mezzo secolo, nel quale ha giocato un ruolo qualitativamente diverso da ogni atro protagonista di questo tempo, assolvendo ad una funzione essenziale? Una funzione storica. Mi spiego: Stefano Rodotà non era comunista, aveva una formazione diversa da quella del Pci e dalla nostra de Il Manifesto; ma di sinistra. Qualcuno ha sempre detto di lui che era un liberal democratico, non lo so se era così, era certo un grande giurista ma io/noi l’abbiamo sempre sentito compagno, nel senso più pieno che occorre dare a questa parola. Era entrato nelle nostre vite attraverso quella speciale figura che il Pci nella sua epoca migliore aveva inventato: gli eletti nelle proprie liste non appartenenti all’organizzazione,i c.d. «indipendenti di sinistra». Fu una grande idea, perchè molti di loro ci portarono una folata di nuova e utile cultura. Ma con Stefano fu diverso: ci portò un contributo essenziale alla correzione del nostro modo di essere comunisti. Perché non risultò esterno, fu subito parte di noi, la sua diversità fu quella che Eduard Said ha chiamato «un aiuto fondamentale alla critica di se stessi».
Dovremo, vorrei io stessa, scrivere e spiegare molto di più su chi sia stato per noi tutti Stefano Rodotà. Non posso certo farlo ora perché si tratta di una riflessione storica che non può svilupparsi nei 30 minuti che dall’annuncio della sua scomparsa mi sono dati ora per scrivere. Non posso non aggiungere, tuttavia, il ricordo personale di un percorso che mi ha dato il privilegio di lavorare con Stefano gomito a gomito.
Nel 1980, nel tempo della crisi del compromesso storico e prima del pieno dispiegarsi del craxismo, come risultato di un appello firmato da Claudio Napoleoni e Lucio Magri, nasce Pace e guerra, prima mensile e poi settimanale, con l’intento di dar voce ad un’area di sinistra che tentò ancora un’incontro fra sinistra socialista, comunisti critici del Pci e area della cosidetta “nuova sinistra”,il Pdup innanzitutto. Direttori di Pace e Guerra furono Claudio Napoleoni, Stefano Rodotà e la sottoscritta ( più tardi anche Michelangelo Notarianni). Con Stefano in particolare abbiamo lavorato insieme quotidianamente per quasi cinque anni, con una redazione fantastica di cui voglio ricordare fra i tanti nomi solo qualcuno che oggi sembra più eterogeneo: Gianni Ferrara ma anche Paolo Gentiloni, Massimo Cacciari, Giuliana Sgrena e Aldo Garzia. ( Ma anche Carla Rodotà, contributo prezioso al nostro lavoro). E una inedita, larghissima partecipazione della socialdemocrazia europea che in quegli anni vide la prevalenza di una splendide leadership di sinistra. Il nostro tentativo fu sconfitto. Sappiamo tutti come e perché. Ma continuo a credere non inutile. Anche se il Pci, sciogliendosi in malo modo, e il Psi con l’avventura craxiana, seppellirono quel tentativo di alternativa.
Ho ricordato Pace e Guerra perché quella esperienza non è per me e per molti compagni solo un ricordo molto importante, ma perché a quel tentativo politico Stefano Rodotà ha coerentemente lavorato per tutta la vita, nelle sedi in cui si è via via trovato ad operare ( non ultima, per importanza, la «nostra» Fondazione Basso, di cui è stato Presidente). Non era utopia, illusione.
Era un obiettivo possibile.
Anche recentemente: non ci siamo mai arrabbiati abbastanza per il fatto che la sua candidatura a presidente della Repubblica sostenuta dai Cinque Stelle ( per una volta non ambigua) e da SeL sia stata fatta cadere dal Pd.
Ho la massima stima di Mattarella, ma Stefano Rodotà, proprio per la sua storia e la sua personalità, e nonostante i limitati poteri del Qurinale, avrebbe forse potuto contribuire ad evitare il disastro attuale della sinistra.
Ciao Stefano, siamo molto tristi. Un abraccio a Carla e a Maria Laura.
«Grazie professore», il cordoglio di un Paese per Stefano Rodotà
Le massime cariche dello Stato e tutto il mondo politico esprimono «profondo cordoglio» per la morte del docente di diritto civile. Il presidente Sergio Mattarella ricorda «le alte doti morali e l’impegno di giurista insigne, di docente universitario, di parlamentare appassionato e di prestigio, e di rigoroso garante della Privacy. La sua lunga militanza civile al servizio della collettività – aggiunge il capo dello Stato – è stata sempre contrassegnata dalla affermazione della promozione dei diritti e della tutela dei più deboli». Il premier Paolo Gentiloni affida a Twitter il ricordo di un «intellettuale di rango, straordinario parlamentare» che ha dedicato «una vita di battaglie per la libertà». «Ci mancherà», scrive invece su Facebook il presidente del Senato, Pietro Grasso, omaggiando «l’intelligenza vivace e la straordinaria capacità di affrontare con linguaggio semplice temi profondamente complessi». Come le battaglie «per il diritto di avere diritti anche nell’età digitale» ricordate dalla presidente della Camera Laura Boldrini, o la «difesa della legalità» su cui pone l’accento il ministro dell’Interno Marco Minniti. «Autentico combattente delle idee», twitta Maurizio Martina, vicesegretario del Pd e responsabile dell’Agricoltura.
«Gli abbiamo voluto bene», è il messaggio del vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio. E da Roma, la sindaca Virginia Raggi e l’amministrazione a 5 Stelle ringraziano il «giurista e politico di immenso spessore», che «è stato un grande riferimento per tutta la società».
Perfino qualcuno della parte politica avversa (non Renzi) rende a Stefano Rodotà l’onore che si deve ad un «avversario» cui «non si può non riconoscere la passione e l’onestà intellettuale» (Quagliariello di Idea), o esprime «vicinanza a tutta la comunità di donne e uomini che si è formata sui suoi valori» (Rampelli di FdI-An).
Ma particolarmente colpito dall’improvvisa notizia è il mondo dell’associazionismo, che lo aveva sostenuto come possibile presidente della Repubblica, e di quella sinistra che con Rodotà ha condiviso decenni di battaglie per i diritti civili, per la laicità dello Stato e per i «beni comuni». L’Arcigay saluta con commozione «un instancabile militante e un amico generoso», «una voce forte, un pensiero lucido, una grande integrità e una rara lungimiranza». «Il nostro Paese – scrive il presidente nazionale Gabriele Piazzoni – perde oggi un uomo grande, che ha saputo mettersi a servizio, dentro e fuori dalle istituzioni, dell’intera nazione, dei primi e degli ultimi». Il Consiglio nazionale forense ne sottolinea la capacità di «mettere sempre il diritto al di sopra delle fazioni». Nicki Vendola piange il «maestro di libertà». «Ci mancherà moltissimo – scrive il segretario di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni – la sua intelligenza mai scontata, il suo pensiero raffinato e forte, ostinatamente rivolto alla tutela dei diritti in un Paese come l’Italia nel quale troppo spesso sono negati, innamorato dei beni comuni e della Costituzione».
Alla moglie Carla e ai figli rivolge infine un particolare pensiero il Forum italiano dei movimenti per l’acqua che ricorda l’incontro con Rodotà «nella stagione della costruzione del movimento per l’acqua nel nostro Paese e nella battaglia referendaria di 6 anni fa», quando non solo il giurista lavorò alacremente «al nostro fianco» ma divenne «protagonista anche di un’elaborazione teorica innovativa sui beni comuni, senza la quale quella battaglia non avrebbe avuto la qualità e la diffusione che ha realizzato». «Andremo avanti – conclude la nota del Forum – nel nostro impegno e nel nostro lavoro contro le logiche di mercificazione dei beni comuni con la consapevolezza che il contributo che ad esso ha dato Stefano Rodotà continuerà a vivere».
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