lunedì 26 febbraio 2018

Le Lettere ai genitori di Claude Lévi-Strauss

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Prima e dopo l’incontro con il pensiero selvaggio 

Antropologi. Raccolte dalla moglie Monique, le missive dell’antropologo francese durante il servizio militare, poi dall’America: «Lettere ai genitori 1931-1942», dal Saggiatore 

Enrico Comba Alias Domenica 22.4.2018, 6:00 
Nessun evento memorabile, né rivelazioni straordinarie, piuttosto vicende estremamente banali di vita quotidiana, problemi e aspirazioni del tutto comuni nelle lettere scritte da Claude Lévi-Strauss tra il 1931 e il 1942 ai suoi genitori, dove si parla di condizioni della vita militare, della ricerca di un lavoro, delle difficoltà economiche o del desiderio di acquistare la prima automobile. Tuttavia, questi documenti raccolti e curati dalla moglie Monique, che ha condiviso con il grande antropologo quasi sessant’anni di vita, contribuiscono a farci comprendere meglio l’epoca che precede e segue immediatamente lo scoppio del secondo conflitto mondiale.
Come osserva Monique Lévi-Strauss nella sua prefazione a queste Lettere ai genitori 1931-1942 (traduzione di Massimo Fumagalli, Il Saggiatore, pp. 422, € 37,00), esse ci permettono di scorgere «l’uomo che si nascondeva dietro allo studioso», sebbene manchi il fondamentale periodo trascorso in Brasile, tra il 1935 e il 1939, di cui tuttavia Lévi-Strauss ha lasciato numerosi ricordi in Tristi Tropici. Presi insieme, questi due testi si integrano a vicenda, andando a costituire una sorta di autobiografia della giovinezza e delle prime fasi della carriera intellettuale dell’antropologo francese. 
La prima moglie
La prima parte del volume, dedicata al periodo precedente allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, comprende le lettere inviate durante il servizio militare, nel settore «Artiglieria e Trasmissioni», da una caserma presso Strasburgo; ci sono inoltre, le missive inviate da Parigi, dove Lévi-Strauss era stato trasferito per lavorare al Ministero della Guerra (probabilmente grazie all’intervento di alcune amicizie politiche) e infine quelle da Mont-de-Marsan, una cittadina delle Landes (attuale Nuova Aquitania), dove aveva trovato un posto come insegnante di filosofia nel liceo locale. 
È il periodo in cui compare, quasi improvvisamente, la figura di Dina Dreyfus, che sarebbe diventata nel settembre del 1932 la sua prima moglie. I due avevano studiato insieme filosofia alla Sorbona e condividevano la militanza politica socialista: partirono insieme nel 1935 per il Brasile e Dina, la cui presenza nella prima fase della carriera di Lévi-Strauss è stata molto più importante di quanto non appaia, svolse un ruolo non secondario nella organizzazione delle due spedizioni che li avrebbero portati nell’interno del Mato Grosso per visitare le popolazioni dei Caduveo, dei Bororo, e dei Nambikwara. 
Molti probabilmente ricorderanno la fotografia sbiadita di Dina pubblicata in Tristi Tropici durante la spedizione etnografica, unica testimonianza della sua presenza. Eppure, sua è la firma dell’articolo con cui sul Journal de la Société des Américanistes venne annunciata, nel 1938, la futura missione etnologica condotta nell’interno del Brasile, a testimonianza del suo ruolo centrale nella progettazione. Una infezione agli occhi costrinse poi Dina a abbandonare la spedizione, e il matrimonio con Lévi-Strauss finì dopo il loro ritorno in Francia, dove Dina rimase anche dopo l’occupazione nazista. 
La seconda parte del carteggio, la più interessante, riguarda le lettere spedite da Lévi-Strauss durante il suo soggiorno a New York, dal 1941 al 1942, dove si era trasferito per sfuggire al pericolo dell’occupazione tedesca, grazie soprattutto all’intervento di Alfred Métraux, antropologo francese che da tempo risiedeva e lavorava in America, e che si era molto impegnato per far sì che Lévi-Strauss venisse invitato presso la New School of Social Research di New York.
In molte lettere viene ricordata con riconoscenza l’attenzione prestata da Métraux, persona «di un’estrema gentilezza, (che) sembra volermi aiutare con ogni mezzo e in maniera del tutto disinteressata». 
«La sua amicizia e la sua devozione – si legge ancora – nei miei confronti sono al contempo inspiegabili e commoventi». Fu lo stesso Métraux a proporre il nome di Lévi-Strauss per alcuni articoli da pubblicare sull’Handbook of South American Indians, opera curata dalla Smithsonian Institution e destinata a divenire un riferimento classico per gli antropologi interessati all’America meridionale. Lévi-Strauss fu subito consapevole dell’opportunità che gli veniva offerta: «Eccomi quindi certo di passare alla storia con un’opera che sarà probabilmente un’autorità per un secolo».
Tra Boas e Malinowski
La pubblicazione di quei contributi avrebbe aperto al giovane Lévi-Strauss le porte dell’antropologia americana, consentendogli di entrare in contatto con grandi personaggi dell’epoca, anche loro spesso presenti nelle lettere: Robert Lowie, Ralph Linton, Julian Steward, che dirigeva l’Handbook, e lo stesso Franz Boas, il «padre fondatore» dell’antropologia negli Stati Uniti, dove Lévi-Strauss incontrò anche Malinowski, del quale scrive: «è anziano, gentile, parla egregiamente il francese e non si trova bene negli Stati Uniti».
Figura, in queste pagine, anche la passione per la musica classica – fin dai tempi del servizio militare, quando il giovane Claude chiede ai genitori di procurargli un’edizione del Pelléas et Mélisande di Debussy, e una curiosa inclinazione per la cucina: entrambe sarebbero diventate temi importanti nell’opera dedicata allo studio dei miti. Qualche breve accenno, nelle lettere da New York, allude alle prime ricerche di Lévi-Strauss nel campo della parentela e dell’elaborazione logico-matematica, che saranno materia della tesi di dottorato, discussa a Parigi nel giugno del 1948. 
L’influenza di Jakobson
La scelta dell’argomento e del metodo impiegati risentono molto dell’amicizia con un altro esule, il grande linguista Roman Jakobson, con cui imbastì una relazione fondamentale, sebbene nelle lettere ne compaia appena qualche traccia. Proprio nell’ultima, però, datata settembre 1942, si accenna al fatto che Lévi-Strauss, oltre a tenere i suoi corsi, era interessato «a seguire un eccellente corso di linguistica tenuto da uno dei miei colleghi, il quale mi fornirà, in questo campo, delle conoscenze indispensabili per il lavoro».
L’influenza di Jakobson fu effettivamente decisiva nella formazione del giovane studioso e, da lì a qualche anno, sarebbe stata fondamentale a informare quella prospettiva strutturalista che nel campo della antropologia sarebbe rimasta legata inscindibilmente al nome di Lévi-Strauss.

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