mercoledì 19 febbraio 2014

Tradotti o ripubblicati i principali testi di Miguel de Unamuno su filosofia e religione



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Miguel de Unamuno: Filosofia e religione, a cura di Armando Savignano, Bompiani, pp. XCVI-1488, euro 35

Risvolto
L’opera di Unamuno, che presenta tutti i tratti dell’organicità e della sistematicità, non sarebbe comprensibile pienamente se non se ne evidenziassero le basi filosofiche e le preoccupazioni teologiche. È infatti alla luce di una filosofia della religione che le ricerche incentrate sull’unico problema, quello dell’ansia immortale di immortalità dell’uomo concreto, pervengono a una prospettiva coerente e unitaria, anche se ciò non esclude un’evoluzione intellettuale ed esistenziale. Unamuno è un autentico uomo religioso che ha vissuto una struggente quanto tragica ansia di eternità, una sete di Dio, pur non avendo abbracciato totalmente nessun credo religioso positivo, giacché egli ha sempre reagito con veemenza contro ogni tentativo di volerlo incasellare. Unamuno è fautore di una religione poetica, issata sull’esperienza della parola creatrice, mediante la quale non soccombe alla tentazione del nulla. I nuclei fondamentali della riflessione unamuniana ruotano intorno a due temi, che rappresentano, per così dire, due facce della stessa medaglia: l’ansia per il destino umano e la preoccupazione per la personalità, da non intendersi in senso psicologico, ma etico-esistenziale, come emerge sia nell’opera sul sentimento tragico della vita (1913) sia nei celebri poemi dove ribadisce che “il fine della vita è di farsi un’anima”. Esprimendosi in forma paradossale, ritenuta il linguaggio tipico della passione oltre che affermazione della volontà di creazione disperata, Unamuno assurge a pensatore tragico.


Unamuno contro i terzomondisti della fede 
Per Bompiani escono le principali opere filosofiche e teologiche del pensatore spagnolo. Ostile alla «religione del lavoro» dei protestanti e ai cattolici ansiosi di raggiungere le periferie povere 

16 feb 2014  Libero GIANLUCA VENEZIANI 
L’anagramma del suo cognome è «Un umano». E infatti dell’uomo e delle sue ansie eterne condivise tutti gli aspetti, come dimostra l’incipit del suo libro più famoso, Del sentimento tragico della vita: «Homo sum; nihil humani a me alienum puto» (Sono uomo, e nulla di ciò che è umano mi è estraneo), citazione tratta dal commediografo Terenzio. A 150 anni dalla sua nascita, Bompiani, nella collana “Il pensiero occidentale”, ripubblica adesso le principali opere teologiche e filosofiche del pensatore spagnolo Miguel de Unamuno, accorpandole nel bel volume Filosofia e religione ( pp. XCVI-1488, euro 35, a cura di Armando Savignano). Alcuni di quegli scritti - che vanno dalla crisi spirituale del 1897, cui è da ricondurre Diario intimo, all’ultima novella del 1930, San Manuel Bueno, martire - vennero concepiti o composti in esilio, nel luogo più a Sud d’Europa, ossia Fuerteventura nelle Canarie, dove Unamuno fu mandato nel 1924 per via della sua opposizione al dittatore Primo de Rivera. Da quella dimora forzata ma, al contempo, prospettiva privilegiata, il filosofo spagnolo seppe trarre alcune intuizioni decisive riguardo al destino del nostro continente.  

Dalla Legge al Verbo 
Da un lato Unamuno guardava con distacco alla «religione del lavoro» dei Paesi del Nord Europa, contestando «l’ultima massima del mondo: stordirsi nel lavoro». Questa devozione, alla base dell’etica calvinista, veniva da lui interpretata come una forma di «nichilismo attivo» (il perpetuo fare, l’essere continuamente occupati), speculare al «nichilismo passivo», che fa capo invece al fatalismo meridionale, alla rassegnazione e all’attesa inoperosa. Entrambe le forme, secondo Unamuno, conducevano allo stesso esito: vivere come se Dio non ci fosse e non preoccuparsi - per via dell’eccessiva occupazione o, viceversa, della disoccupazione spirituale - di ciò che sarà di noi dopo la morte. 

Dei protestanti del Nord Europa Unamuno denigrava anche l’aridità religiosa, derivante da una fede che si accontentava della «lettera» e non badava allo «spirito». Era la condanna della Legge, del testo scritto, della Parola ridotta a segno grafico. Unamuno proponeva così di tornare dal Sinai al Golgota: dalle Tavole di Mosè alla Croce, dai Comandamenti incisi nella pietra al Verbo incarnato. 

A fronte di questo sguardo rivolto a Nord, il pensatore spagnolo si concentrava anche sul Sud del mondo. Osservava quindi con disincanto l’umanitarismo verso i diseredati del pianeta, quel mito del far bene ai poveri, senza tuttavia predicare loro la vita eterna: «Si dice che la grandezza è non pensare a se stessi e lavorare per l’Umanità. Ma quest’umanità cos'è? Una serie di generazioni di uomini destinati a morire, se non ha nulla di permanente, se non c’è comunione dei vivi con i morti. Triste altruismo è questo altruismo!». Con un riferimento implicito a un certo atteggiamento della Chiesa, lo scrittore di Salamanca metteva al bando le Ong dello spirito, i terzomondisti della fede, convinti che lo scopo ultimo fosse raggiungere le periferie del mondo, e non già annunciare un altro mondo dopo questo. 
Ritornando al cuore del cristianesimo, Unamuno suggeriva dunque l’immagine di un continente «agonico», cioè in lotta, ma non agonizzante, schiacciato tra Nord Europa e Nord Africa, e poneva se stesso nella dimensione originale di pensatore meridiano, legato alla terra, al passato e al cielo. È bellissima, a proposito, la scena del «tramonto sereno del sole in mezzo alla campagna, tra le montagne bulinate in un cielo bianco» descritta dal filosofo, in cui sembra quasi di vedere le terre brulle iberiche e le distese infinite della Meseta, spazio fertile per la contemplazione. 
Ed è nostalgico il suo appello all’infanzia come fonte inesauribile di ispirazione, memoria di un’aeternitas exante da cui traiamo linfa. Affiora spesso, nelle sue pagine, quest’urgenza del ricordo come materia viva per fare letteratura, e insieme la necessità di farsi bambini, di recuperare la grazia e il silenzio fanciulli e di rinascere a se stessi, per poter affrontare con purezza la vita spirituale. 

Tensione spirituale 
In questo richiamo personale c’è anche la storia comune del nostro continente, cosicché il Mediterraneo stesso torna a farsi bacino materno e liquido amniotico, oltreché culla di civiltà. 
Infine il libro è attraversato da una costante tensione al cielo. Fino a quel momento lo scrittore aveva vissuto nella speranza di rendere immortale il proprio nome attraverso la prole e le opere; adesso ha compreso invece che è prioritario salvarsi l’anima. Al timore di restare anonimo, ha sostituito dunque la paura di rimanere «an-animo», ossia privo di anima. 
Somma di carne, carta e karma: questo era Unamuno, pensatore mediterraneo.

L’improbabile vita ultraterrena di San Manuel 
Saggi. Un saggio e un apparato bibliografico su Miguel De Unamuno, un filosofo poco conosciuto in Italia
Paolo Ercolani, il Giornale 6.11.2014 
Può un filo­sofo essere nello stesso tempo un prag­ma­ti­sta e un pro­fondo asser­tore dell’elemento irra­zio­na­li­stico di fondo che carat­te­rizza l’umano esi­stere? Può subor­di­nare la cono­scenza, il pen­siero, per­fino la ragione, alla vita e all’azione, pro­prio men­tre afferma il carat­tere oscuro, arbi­tra­rio, incon­sa­pe­vole e in fondo irra­zio­nale di ogni dot­trina o cre­denza? Ovvia­mente sì, se quel filo­sofo risponde al nome di Miguel De Una­muno (1864–1936), uno che ha vis­suto quella sostan­ziale dico­to­mia sulla pro­pria pelle di pen­sa­tore inquieto e tor­men­tato, ma forse per que­sto anche libero. 
Alla costante ricerca della fede e della spe­ranza in una vita immor­tale da una parte, ricerca por­tata fino alle più estreme esa­spe­ra­zioni irra­zio­na­li­sti­che, ma dall’altra anche prag­ma­tico e razio­nale (e quindi disil­luso e ango­sciato) rispetto alla con­sa­pe­vo­lezza che quella ten­sione umana deriva dal biso­gno di illu­dersi e di col­ti­vare la spe­ranza in un dato ulte­riore che tra­scenda la limi­ta­tezza (e la sof­fe­renza) del mondo umano. 
Insomma, pro­prio negli anni in cui Sig­mund Freud decre­tava che l’uomo cede volen­tieri una parte della pro­pria libertà in cam­bio di sicu­rezze e tutele, magari pro­ve­nienti da pre­sunte entità tra­scen­denti, que­sto ori­gi­na­lis­simo filo­sofo, dram­ma­turgo, let­te­rato e poeta spa­gnolo spe­ri­men­tava la sua per­so­na­lis­sima e tor­men­tata libertà pro­prio nella «volontà di cre­dere».
Volontà di cre­dere in un Dio che, però, con l’ausilio della ragione, Una­muno sapeva benis­simo che può essere un «Dio del sogno», un «Dio irra­zio­nale» a cui abban­do­narsi solo gra­zie al sen­ti­mento della spe­ranza in quell’immortalità che, sola, potrebbe for­nire un senso al viag­gio dispe­rato dell’uomo in que­sto mondo. 
Per cogliere a fondo que­sti aspetti che legano reli­gione e filo­so­fia, desi­de­rio di fede e irri­nun­cia­bi­lità della ragione, si pos­sono leg­gere i testi di Una­muno che Armando Savi­gnano, ordi­na­rio di filo­so­fia morale a Trie­ste e stu­dioso di lungo corso della filo­so­fia spa­gnola, ha rac­colto, curato e tra­dotto in M. De Una­numo: filo­so­fia e reli­gione, (Bom­piani, testo spa­gnolo a fronte, pp. 1489, euro 35). 
In quasi cento pagine di sag­gio intro­dut­tivo, vasti appa­rati cri­tici, note espli­ca­tive dei testi, bio­gra­fia dell’autore e biblio­gra­fia diretta e indi­retta, Savi­gnano offre al let­tore ita­liano, per la prima volta in maniera così ampia e siste­ma­tica (e di ciò va rico­no­sciuto il merito anche alla casa edi­trice), la summa filo­so­fica e let­te­ra­ria di un pen­sa­tore poco cono­sciuto nel nostro paese, che non si lascia inca­sel­lare all’interno di schemi defi­ni­tori rigidi ed esclu­denti, ma che pro­prio per que­sto mani­fe­sta i bagliori di un’originalità che può essere apprez­zata tanto dagli stu­diosi quanto dagli appas­sio­nati di filo­so­fia e religione. 
Nelle opere filo­so­fi­che come in quelle nar­ra­tive, infatti, Una­muno sem­bra rive­larsi come un pen­sa­tore siste­ma­tico che, mischiando regi­stri comu­ni­ca­tivi diversi, rie­sce a descri­vere il romanzo esi­sten­ziale dell’uomo moderno, che da una parte è costretto a pren­dere atto della «morte di Dio» decre­tata da Nie­tzsche, ma dall’altro sente il biso­gno impel­lente di non ras­se­gnarsi a che tutto fini­sca qui, con la vita mor­tale. In que­sto senso ci dice che siamo tutti dei Don Chi­sciotte, indi­vi­dui per­vi­ca­ce­mente attac­cati all’utopia neces­sa­ria di per­pe­tuare la nostra «per­so­na­lità», di non arren­derci a quello che San Paolo defi­niva l’«ultimo nemico» dell’uomo, ossia la morte. 
Strug­gente e in qual­che modo rias­sun­tiva di tutta la spe­cu­la­zione di Una­muno, si rivela la figura di San Manuel, pro­ta­go­ni­sta dell’omonimo romanzo del 1928, non­ché ultima opera del filo­sofo spa­gnolo. Egli, infatti, si ritrova ad aver perso la fede, ma appunto con spi­rito don­chi­sciot­te­sco decide comun­que di dedi­carsi ai suoi fedeli, di sup­por­tarli nella loro fede e nella spe­ranza di una vita ultra­ter­rena che li ripa­ghi delle ango­sce e sof­fe­renze di que­sto mondo. Dio potrebbe anche non esi­stere, ma l’uomo sì. Que­sto il suo lascito più radicale.

Miguel De Unamuno e la ricerca dell’umano 
Intervista . Un’intervista con Armando Savignano, curatore per Bompiani dell’opera del filosofo spagnolo. L’inquieto e talvolta nichilistico rapporto con la fede dopo l’annuncio di Nietzsche che «Dio è morto»
Paolo Ercolani, il Giornale 6.11.2014 
Pochi altri filo­sofi hanno saputo met­tere in evi­denza la rela­zione stretta che lega ragione e fede come lo spa­gnolo Miguel de Una­muno. Que­sta rela­zione si con­cre­tizza in un ter­mine, che è anche l’attitudine dell’essere umano sospeso tra l’angoscia di esi­stere e l’incoercibile spe­ranza di immor­ta­lità. Que­sto ter­mine è «ago­nia», in grado di signi­fi­care la ten­sione fra la «lotta» per la verità e l’angustia per una fine certa. Da que­sta ago­nia può emer­gere una fede che sa di non sapere ma vuole comun­que spe­rare una sal­vezza per la per­so­na­lità umana. Ne par­liamo con Armando Savi­gnano, tra i mas­simi esperti di filo­so­fia spa­gnola e recente tra­dut­tore e cura­tore dei testi più impor­tanti di Una­muno sul nesso che lega filo­so­fia e religione. 

Par­tiamo dal dato bio­gra­fico. Dap­prima fiero oppo­si­tore della dit­ta­tura di Primo de Rivera, tanto da esserne esi­liato, poi fian­cheg­gia­tore del regime fran­chi­sta. Qual è, insomma, la posi­zione poli­tica di Unamuno? 

In occa­sione dei tra­gici fatti della guerra civile Una­muno si pro­clama dap­prima favo­re­vole ai nazio­na­li­sti, per­ché rite­neva salu­tare una rivo­lu­zione per risol­vere quello che deno­mi­nava «mara­sma» spa­gnolo. Ma ben pre­sto si rav­vide, accu­sando in un discorso uffi­ciale le forze mili­tari falan­gi­ste di aver tra­dito certi pro­po­siti ini­ziali, gesto che gli costò la carica di Ret­tore dell’Università di Sala­manca. Qui il 12 otto­bre del 1936 si veri­ficò un dram­ma­tico scon­tro, quasi fisico, col gene­rale falan­gi­sta Mil­lán Astray, al cui grido di «viva la morte» e «abbasso gli intel­let­tuali», Una­muno rispose con parole pro­fe­ti­che: «Potete vin­cere, ma non ci con­vin­ce­rete!». Una­muno fu rele­gato agli arre­sti domi­ci­liari e si dice che sia morto di cre­pa­cuore la notte del 31 dicem­bre 1936, quando vide pas­sare sotto la sua fine­stra le truppe nazi­ste e fasci­ste in aiuto ai franchisti. 

Ortega ha scritto che Una­muno «è sem­pre stato in com­pa­gnia della morte, la sua eterna amica-nemica». In effetti il pen­siero di que­sto filo­sofo si pre­senta come una costante «medi­ta­tio mor­tis», ma con quali carat­te­ri­sti­che ed esiti? 

Una forma espres­siva del mistero della per­so­na­lità è costi­tuita dalla let­te­ra­tura, spe­cial­mente dal romanzo esi­sten­ziale in quanto, appunto, medi­ta­tio mor­tis, o alla stre­gua di un «labo­ra­to­rio di espe­rienza». Il «romanzo esi­sten­ziale» o per­so­nale, che è con­trap­po­sto alla nar­ra­zione psi­co­lo­gica, è fun­zio­nale alla crea­zione di «enti di fin­zione» attra­verso i quali nar­rare la vicenda di una vita. Que­sto con spe­ciale rife­ri­mento all’anticipazione della morte, che, essendo impos­si­bile «rivi­vere», si cerca in tal modo di «pre-vivere» nell’immaginazione crea­trice. Gra­zie a tale anti­ci­pa­zione imma­gi­na­ria, il romanzo di Una­muno si rivela a tutti gli effetti una medi­ta­tio mor­tis. 

Lei lo defi­ni­sce un «pre­cur­sore dell’esistenzialismo», sulla scia di Pascal e Kier­ke­gaard. Ma rispetto a que­sti due Una­muno non è un anti razio­na­li­sta, ed anzi la ragione umana si rivela per lui un tra­mite indi­spen­sa­bile fra Dio e il nulla. 

Che sia stato pre­cur­sore dell’esistenzialismo emerge anche dall’incontro con Kier­ke­gaard, che Una­muno ha avuto il merito di aver intro­dotto in Spa­gna. L’attitudine esi­sten­zia­li­stica di Una­muno è affatto sui gene­ris, al punto che egli riter­rebbe addi­rit­tura «astratta» la posi­zione esi­sten­zia­li­stica in nome dell’uomo con­creto in carne ed ossa. Non c’è dub­bio, comun­que, che il pen­sa­tore basco possa essere con­si­de­rato a suo modo un esi­sten­zia­li­sta cri­stiano nella linea Pascal-Kierkegaard, ma non per que­sto un irra­zio­na­li­sta. Pur avendo messo in secondo piano il ruolo della ragione – nell’accezione razio­na­li­stica e scien­ti­stica, insomma in quanto ragione stru­men­tale – per far posto alle «ragioni del cuore», tut­ta­via egli non può essere anno­ve­rato tra i vita­li­sti irra­zio­na­li­sti e nep­pure tra i fidei­sti, avendo adot­tato un’attitudine ago­nica. Per­ciò è frutto di fatali frain­ten­di­menti la leg­genda di un Una­muno intento solo a distrug­gere e non a costruire, giac­ché egli ha per­se­guito un dise­gno pro­fon­da­mente coe­rente ed uni­ta­rio alla luce dell’unico pro­blema vitale: l’ansia per il destino della personalità. 

Sap­piamo che il gio­vane Una­muno aveva col­ti­vato forti sim­pa­tie socia­li­ste, tanto che, pur da pen­sa­tore cri­stiano, aveva deciso di con­fron­tarsi in maniera libera con l’affermazione mar­xiana della reli­gione come oppio dei popoli. Con quali risultati? 

Effet­ti­va­mente in gio­ventù Una­muno con­di­vise gli ideali di un socia­li­smo uma­ni­ta­rio e liber­ta­rio con forti ascen­denze anche anar­chi­che. Tali istanze per­man­gono anche nell’Unamuno maturo, come emerge dal cele­bre romanzo sul curato Sant’Emanuele mar­tire, in cui si oppone a ciò che è verità «per la reli­gione dog­ma­tica, basata sull’autorità», pre­di­li­gendo ciò che è vero «per la reli­gione scet­tica, alla ricerca inquieta di Dio come fonte della libertà». In que­sto con­te­sto viene anche affron­tata la que­stione sociale, rispetto alla quale Una­muno assume una rigida posi­zione incen­trata sull’affermazione evan­ge­lica «il mio regno non è di que­sto mondo». La reli­gione non è fatta per risol­vere i con­flitti eco­no­mici o poli­tici del con­sesso umano, secondo Una­muno: «Pen­sino gli uomini a come ope­rare, ed a ciò si atten­gano, si con­so­lino di essere nati, vivano il più con­tenti pos­si­bile nell’illusione che tutto ciò abbia una finalità». 

Quella di Una­muno è stata una fede tor­men­tata, per molti versi tra­gica, alla con­ti­nua ricerca di un Dio che, come tutte le cose pro­fonde, ama la maschera (Nie­tzsche). Si è par­lato di nichi­li­smo, o meglio di «nadi­smo» da parte di que­sto autore ango­sciato dall’enigma divino. Cosa ci può dire in proposito? 

Occorre tut­ta­via osser­vare che è lo stesso Una­muno, nell’opera sull’agonia del cri­stia­ne­simo, a chia­rire le carat­te­ri­sti­che del tutto spe­ciali del suo «nadi­smo» rispetto al nichi­li­smo della filo­so­fia euro­pea. Un feno­meno tutto spa­gnolo che appare già in Gio­vanni della Croce, nel quie­ti­sta Moli­nos e nel pit­tore novan­tot­te­sco Zuluoga. Quest’ultimo, mostrando ad un amico il ritratto del cal­zo­laio di Sego­via, lo descrisse così: «Se vedesse che filo­sofo! Non dice niente!». Non è che dicesse che non c’è nulla o che tutto si riduce a nulla, è che non diceva nulla, chiosò Una­muno: «Forse era un mistico immerso nella notte oscura dello spi­rito di San Gio­vanni della Croce, o forse tutti i mostri di Velá­z­quez sono mistici dello stesso genere. La nostra pit­tura spa­gnola non sarà forse l’espressione più pura della nostra filo­so­fia? Il cal­zo­laio di Sego­via, non dicendo nulla di nulla, si è libe­rato dal dovere di pen­sare, è un vero libero pensatore». 

Due figure let­te­ra­rie sono cen­trali nell’opera di Una­muno. Da una parte Don Chi­sciotte, dall’altra Don Manuel, figura emi­nen­te­mente tra­gica di sacer­dote che, pur avendo smar­rito la fede, con­ti­nua inde­fesso a con­for­tare i pro­pri par­roc­chiani nella spe­ranza che pro­viene dalla fede stessa. Che signi­fi­cati gli attribuisce? 


Egli intra­vede nella vicenda chi­sciot­te­sca le linee mae­stre dell’autentico spi­rito spa­gnolo ed inol­tre l’unica pos­si­bi­lità di assur­gere alle altezze filo­so­fi­che. Oltre che un potente inci­ta­mento ad abbrac­ciare una vita imper­niata sull’ideale etico, sull’eroismo tra­gico con con­qui­stare quell’immortalità che solo una fede crea­trice basata sul forte volere può con­sen­tire. Don Manuel gli con­sente, invece, di riflet­tere sul senso ultimo della vita. Nono­stante il suo intimo tra­va­glio esi­sten­ziale, il santo curato resi­ste alle sug­ge­stioni nichi­li­sti­che e si impe­gna al ser­vi­zio di un idea­li­smo etico-religioso simile a quello chi­sciot­te­sco, inci­tando gli altri a vivere nella fede e nella spe­ranza cri­stiana o almeno a rico­no­scere che la vita ha un senso. Eppure, non diver­sa­mente da Una­muno, Don Manuel pur avendo la ferma volontà di cre­dere tut­ta­via non può cre­dere: in ciò con­si­ste il suo para­dos­sale «mar­ti­rio chi­sciot­te­sco». Entrambi sof­frono per l’abbandono di Dio, simile alla «notte oscura» di cui par­lano i grandi mistici. Di qui la visione della reli­gione non come inganno, ma sem­mai come illu­sione consolatrice.

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