sabato 17 gennaio 2015

Tradotto "Il nuovo spirito del capitalismo" di Boltanski e Chiapello

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Luc Boltanski, Ève Chiapello: Il nuovo spirito del capitalismo, Mimesis

Risvolto
Un grande classico dei nostri tempi, il testo di riferimento tradotto e discusso in tutto il mondo per decifrare il doppio volto della crisi. Del capitalismo, ma anche della critica a questo modo di produrre e di esistere diventato ormai un destino senza alternative apparenti. La più autorevole analisi della grande trasformazione che ha investito il mondo occidentale, modificandone la struttura produttiva, sociale e lo stile di vita. Il passaggio da un sistema rigido e gerarchico a un reticolo flessibile di progetti fondati sull’iniziativa, l’autonomia e il coinvolgimento totale di chi lavora. Una libertà pagata con la distruzione della sicurezza materiale e psicologica. Il nuovo spirito del capitalismo trionfa perché ingloba un bisogno diffuso di autenticità, trasformando in merci da consumare il contenuto delle contestazioni al sistema manifestate dal Sessantotto a oggi. Una forma subdola di sfruttamento che rende impotente o complice la critica sociale condotta finora. Spingendo a inventare forme di dissenso efficaci e credibili per affrontare gli spiriti e gli spettri del capitale del ventunesimo secolo.

Luc Boltanski, allievo di Pierre Bourdieu, direttore di ricerca onorario all’École des hautes études en sciences sociales di Parigi, fondatore del Groupe de sociologie politique et morale, è una delle menti più originali della teoria critica contemporanea. Tra le sue opere: La production de l’idéologie dominante (con P. Bourdieu), Les cadres. La formation d’un groupe social, De la justification. Les économies de la grandeur (con L. Thévenot), Rendre la réalité inacceptable, Énigmes et complots. Une enquête à propos d’enquêtes. In italiano: Lo spettacolo del dolore. Morale umanitaria, media e politica (2000), Stati di pace. Una sociologia dell’amore (2005), La condizione fetale. Una sociologia della generazione e dell’aborto (2007) e Della critica. Compendio di sociologia dell’emancipazione (2014).

Ève Chiapello è direttrice di ricerca all’École des hautes études en sciences sociales di Parigi. Tra le sue opere: Artistes vs Managers. Le management culturel face à la critique artiste, Sociologie des outils de gestion. Introduction à l’analyse sociale de l’instrumentation de gestion (con P. Gilbert).


L’infernale mondo di Boltanski e Chiapello 
Saggi. «Il nuovo spirito del capitalismo» di Luc Boltanski e Ève Chiapello per Mimesis. Finalmente pubblicato il volume salutato come uno dei più rilevanti sul lavoro contemporaneo. Il libro presenta la provocatoria tesi dove la prassi artistica è un’attitudine da usare per innovare la produzione di merc 
Benedetto Vecchi, 17.2.2015
Il libro di Luc Bol­tan­ski e Ève Chia­pello Il nuovo spi­rito del capi­ta­li­smo ha avuto un buffo destino in Ita­lia. Pub­bli­cato nel 1999 in Fran­cia, fu allora salu­tato come un con­tri­buto rile­vante nella com­pren­sione delle nuove carat­te­ri­sti­che del capi­ta­li­smo con­tem­po­ra­neo forte di una pro­vo­ca­to­ria tesi: la capa­cità delle imprese di met­tere a pro­fitto, per defi­nire nuovi pro­cessi lavo­ra­tivi, la cri­tica all’organizzazione gerar­chica del lavoro espressa durante il mag­gio stu­den­te­sco del Ses­san­totto. Tesi che fece discu­tere non poco le «scienze sociali» euro­pee, che sot­to­li­nea­vano tut­ta­via la sostan­ziale con­ti­nuità del capi­ta­li­smo «digi­tale» con il suo pas­sato indu­striale a dif­fe­renza di quanto soste­ne­vano i due autori fran­cesi. In Ita­lia il libro fu accolto con inte­resse da eco­no­mi­sti, filo­sofi e socio­logi, dando vita nel nostro paese una discus­sione ad alta inten­sità pole­mica, cosi come era acca­duto in altri paesi. Ma era tut­ta­via una discus­sione rele­gata in ristretti campi disci­pli­nari. Quando Fel­tri­nelli annun­ciò la sua tra­du­zione, in molti salu­ta­rono con favore que­sta deci­sione della casa edi­trice mila­nese.
Anno dopo anno, la sua pub­bli­ca­zione fu però rin­viata. I motivi dei rin­vii pos­sono essere rin­trac­ciati nel lin­guag­gio non sem­pre lineare del sag­gio, ma soprat­tutto nello sco­prire che molti dei temi affron­tati da Bol­tan­ski e Chiap­pello erano nel frat­tempo entrati in quel senso comune che con­trad­di­stin­gue sem­pre la mani­fe­sta­zione dell’opinione pub­blica. Ma a far desi­stere Fel­tri­nelli nel pub­bli­carlo può aver influito il fatto che la rice­zione del «nucleo cen­trale» de Il nuovo spi­rito del capi­ta­li­smo — il Ses­san­totto come periodo fon­dante del capi­ta­li­smo digi­tale — sia diven­tata nel chiac­chie­ric­cio media­tico l’avvio di una demo­niz­za­zione «di sini­stra» del Ses­san­totto, rele­gato a cata­liz­za­tore del nascente neo­li­be­ri­smo, sia nella sua ver­sione pre­sen­ta­bile — gli Stati Uniti — che in quella «vol­gare», il ber­lu­sco­ni­smo e il popu­li­smo postmoderno. 

L’antistatalismo liber­ta­rio 
Per gli Stati Uniti è stata sot­to­li­neata l’influenza della con­tro­cul­tura nello svi­luppo dell’economia dot-com. L’etica domi­nante nel capi­ta­li­smo digi­tale, è stato più volte scritto, è figlia della cri­tica al «sistema» espressa dal mou­ve­ment degli anni Ses­santa, men­tre l’attitudine hac­ker è cre­sciuta all’ombra dei gruppi liber­tari californiani. 
Una let­tura, que­sta, che ha molte frecce nel suo arco nel trat­teg­giare la genea­lo­gia dell’industria high-tech. Meno con­vin­centi sono stati invece i pam­phlet che hanno visto nella cri­tica ses­san­tot­tina all’autoritarismo e al ruolo dello Stato, in quanto tec­no­lo­gia del con­trollo sociale, un ante­nato dell’antistatalismo neo­li­be­ri­sta. Il Ses­san­totto altro non sarebbe stato che il labo­ra­to­rio teo­rico e sociale per una «con­tro­ri­vo­lu­zione libe­ri­sta» atti­vata pro­prio dal movi­mento. Ma qui ribelli, i par­te­ci­panti a quel movi­mento erano solo l’incarnazione dell’individuo pro­prie­ta­rio. Sin­to­ma­tico di tale furia ico­no­cla­sta con­tro del Ses­san­totto è il giu­di­zio di Michel Fou­cault come teo­rico mime­tico del neo­li­be­ri­smo. Una demo­niz­za­zione che non ha rispar­miato altri intel­let­tuali rite­nuti, a torto o a ragione, sim­boli di quella sta­gione di sov­ver­sione sociale. L’aspetto ricor­rente è che molte delle cri­ti­che ven­gono da intel­let­tuali e opi­nion makers che non hanno pro­blemi a riven­di­care la pro­pria ade­sione alla tra­di­zione ter­zoin­ter­na­zio­na­li­sta o maoi­sta del movi­mento ope­raio. Non sono man­cati, in tutti que­sti anni, aspetti para­dos­sali: per esem­pio, il giu­di­zio su ana­lisi cri­ti­che del capi­ta­li­smo digi­tale o post­for­di­sta come espres­sione di una quinta colonna del nemico tra le file dei movi­menti sociali, evo­cando così un les­sico poli­tico che non avrebbe certo sfi­gu­rato nel dia­mat sta­li­niano degli anni Trenta. 
Sta di fatto che solo ora la casa edi­trice Mime­sis ha deciso di man­dare il sag­gio di Bol­tan­ski e Chia­pello in libre­ria (pp. 728, euro 38). Una deci­sione meri­to­ria non solo per aggiun­gere un tas­sello a un ipo­te­tico mosaico della sto­ria delle idee del decli­nante Nove­cento, ma per­ché con­sente di rico­struire il per­corso acci­den­tato che ha por­tato ad inno­vare l’analisi del capitalismo. 
Bol­tan­ski e Chia­pello con­si­de­rano il Ses­san­totto un punto di svolta nei rap­porti sociali. L’intero assetto fuo­riu­scito dalla seconda guerra mon­diale viene sot­to­po­sto a cri­tica dai movi­menti sociali. L’intervento sta­tale in eco­no­mia ha cer­ta­mente atte­nuato gli effetti col­la­te­rali del libero mer­cato, ma non aperto nes­suna brec­cia nel capi­ta­li­smo. Le misure key­ne­siane per lo stato impren­di­tore hanno sem­mai raf­for­zato la società del capi­tale, garan­tendo una poli­tica mode­rata negli aumenti sala­riali, attra­verso un vero e pro­prio scam­bio con le orga­niz­za­zioni sin­da­cali e poli­ti­che del movi­mento ope­raio: con­flitto sociale a bassa inten­sità, aumenti sala­riali legati alla pro­dut­ti­vità in cam­bio di assi­stenza sani­ta­ria, accesso alla for­ma­zione sco­la­stica, pensioni. 
La poli­tica dei diritti sociali di cit­ta­di­nanza poteva variare a seconda dei con­te­sti nazio­nali, ma era un fat­tore di sta­bi­liz­za­zione sociale. Sono stati i glo­riosi trenta anni di svi­luppo eco­no­mico, ora ama­ra­mente rim­pianti dal pen­siero poli­tico demo­cra­tico e rifor­mi­sta. Nel Ses­san­totto ne viene cri­ti­cato il carat­tere auto­ri­ta­rio che impe­di­sce la pos­si­bi­lità di una tra­sfor­ma­zione radi­cale dei rap­porti sociali. 
I due autori di que­sto pon­de­roso sag­gio sot­to­li­neano invece il fatto che l’ordine del discorso nel Ses­san­totto vede — ad esem­pio, nella pro­du­zione arti­stica e nel supe­ra­mento dell’alienazione della società dei con­sumi attra­verso la libera espres­sione del desi­de­rio — dimen­sioni poli­ti­che che met­tono in discus­sione il capi­ta­li­smo. È dun­que la crea­ti­vità, l’attitudine arti­stica che può con­sen­tire una effi­cace e effi­ciente poli­tica del fat­tore umano nelle imprese, men­tre nella società il rifiuto dell’autorità può favo­rire feno­meni inno­va­tivi tanto nella pro­du­zione di merci che nelle rela­zioni sociali. Il nuovo spi­rito del capi­ta­li­smo trova in que­sta imma­nenza della cri­tica all’autorità la sua fon­da­zione. È pro­prio in tale linea­rità tra Ses­san­totto e neo­li­be­ri­smo uno dei limiti più evi­denti de Il nuovo spi­rito del capitalismo. 

Il mer­canti del fat­tore umano 
È spesso acca­duto che istanze del movi­mento ope­raio o dei movi­menti sociali radi­cali siano entrate a far parte dell’agenda poli­tica di chi eser­cita il potere. Anto­nio Gram­sci ha scritto a lungo della «rivo­lu­zione pas­siva», cioè quando le classi domi­nanti hanno cam­biato di segno a riven­di­ca­zioni, punti di vista dei «domi­nati» per farle diven­tare parte inte­grante e com­pa­ti­bili con i nuovi rap­porti di potere defi­niti dopo una fase di crisi — poco importa se eco­no­mica o poli­tica -; oppure ci sono stati autori che hanno spie­gato l’innovazione delle rela­zioni sociali come rispo­sta ai con­flitti sociali e di classe. Nel volume di Bol­tan­ski e Chia­pello, ad esem­pio, la cri­tica all’alienazione e alla par­cel­liz­za­zione del lavoro è stata pie­gata all’innovazione della orga­niz­za­zione pro­dut­tiva. Il mana­ge­ment del fat­tore umano è da con­si­de­rare quindi un dispo­si­tivo teso a ripren­dere il con­trollo di un lavoro vivo ribelle all’ordine costi­tuito nell’impresa. 

Que­sto avviene sem­pre come supe­ra­mento di una crisi o quando vanno ripri­sti­nati i rap­porti di forza nella società dopo un periodo di aspro e radi­cale con­flitto sociale e di classe. Il volume di Bol­tan­ski e Chia­pello rimuove que­sto ele­mento «poli­tico» e fa ger­mo­gliare il nuovo spi­rito del capi­ta­li­smo dal fluire neu­tro delle dina­mi­che sociali e cul­tu­rali. È il suo limite mag­giore. Il suo merito è di aver messo a tema la neces­sità per le scienze sociali di inda­gare come il capi­ta­li­smo stava cam­biando, all’interno di una dina­mica che alterna «dia­let­ti­ca­mente» discon­ti­nuità a con­ti­nuità con il suo passato.

Dacci la nostra precarietà quotidiana Le origini del vangelo neocapitalista
Tradotto in Italia il saggio del 1999 di Boltanski e Chiapello La contestazione del ’68 come apripista della società neoliberaledi Massimiliano Panarari La Stampa 6.3.15
Mancava ancora, nel nostro Paese (dove, peraltro, si traduce di tutto), un volume pubblicato in Francia nel 1999 con un certo successo di vendite. Un piccolo best-seller decisamente particolare, perché rappresenta una monumentale genealogia culturale dei mutamenti di quell’araba fenice che risponde al nome di capitalismo.
Stiamo parlando de Il nuovo spirito del capitalismo dei sociologi Luc Boltanski ed Eve Chiapello, arrivato soltanto adesso nelle librerie italiane (per i tipi di Mimesis, pp. 728, euro 38). Albert Hirschman, Karl Polanyi ed Emile Durkheim quali numi tutelari, una tutt’altro che sottaciuta vis polemica nei confronti di Pierre Bourdieu (di cui Boltanski, direttore di ricerca onorario della parigina École des Hautes Études en Sciences Sociales, fu allievo), questa ponderosa decostruzione intellettuale del neoliberismo proponeva un esame lungimirante dell’evoluzione tardo-novecentesca dei paradigmi della cultura del business (presa molto sul serio, come andrebbe appunto fatto, e come ai francesi, quando ci si mettono di esprit de géometrie, riesce alla perfezione...). Dunque, altro connotato originale del libro, sguardo radicale sì, ma niente aura radical, nel nome di una terza via tra Marx (del quale si intende perpetuare la critica a quella che gli studiosi considerano l’ideologia capitalistica) e Weber (all’insegna dell’avalutatività dell’indagine come requisito essenziale per uno scienziato sociale).
Punto di partenza di questo recente classico della teoria sociologica è l’osservazione di come il capitalismo, regime dell’accumulazione illimitata, porti sempre con sé una serie di quadri valoriali e cornici normative: in termini weberiani, il suo «spirito» (o, come potremmo dire ora, il suo immaginario). Valeva, alle origini, nel clima religioso instaurato dal protestantesimo ascetico di calvinisti, anabattisti e puritani, che agevolò la sua nascita, come nei tempi attuali pullulanti di analisti simbolici e informatici al servizio di Apple o Facebook. Dopo il primo spirito del capitalismo familiare ottocentesco, è stata la volta del secondo (quello del fordismo e della grande impresa), fino alla formazione, nel trentennio 1970-1990, del terzo, capace per la prima volta di introiettare buona parte delle contestazioni che gli erano state mosse nel passato, convertendole in punti di forza.
Il ’68 mosca cocchiera
Proprio nel volume di Boltanski e Chiapello si ritrova infatti l’intuizione originaria – largamente argomentata sotto il profilo teorico e puntellata per via empirica (dall’analisi comparata dei manuali di neomanagement degli Anni Novanta allo studio di varie fattispecie di degrado della condizione lavorativa dei ceti operai e delle classi medie) – di come il Sessantotto abbia generato la logica che innerverà il neocapitalismo (e, quindi, anche l’economia digitale e delle multinazionali dell’high tech). Il rigetto dell’autorità e della gerarchia sviluppato dai movimenti di quell’epoca – autentico punto di svolta per le società occidentali, e motore «spirituale» della fuoriuscita dal sistema produttivo fordistico – costituisce la premessa di quelle innovazioni organizzative che hanno cambiato il mercato del lavoro e radicato il modello dell’impresa flessibile e a rete. Novità diventate il pilastro di un capitalismo cognitivo fondato sulla Rete per antonomasia, e certificate da una letteratura di organizzazione aziendale che, avvertivano già parecchi anni fa Boltanski e Chiapello, andava considerata, per molti versi, alla stregua di una trattatistica e precettistica morale.
Contro la gerarchia
Dove si predica e raccomanda il coinvolgimento dei dipendenti (trasformati in collaboratori) all’interno di dinamiche «orizzontalizzate» e friendly, come pure la loro autonomia e intraprendenza, perché dalla creatività dipende sempre maggiormente il profitto, a partire dalla new economy tecnologica; come avviene nelle imprese della Silicon Valley che mettono a disposizione dei propri lavoratori una nutrita lista di utilità (dalle palestre alle sale di relax e meditazione, fino ai Google bus), mediante le quali stimolare la talentocrazia e le idee da mettere «in produzione».
Non per niente il neocapitalismo ha saputo incorporare le rivendicazioni libertarie e le istanze anticonformistiche e di autenticità brandite dalla critica artistica esplosa negli Anni Sessanta e Settanta, a cui ha risposto tanto sul piano delle metodologie organizzative del lavoro che mediante la moltiplicazione dell’offerta di merci e la produzione di beni sempre più identitari e «personalizzati».
Nel mondo fluido
Precisamente il mondo fluido in cui viviamo, dove il neoliberismo si è fatto così avvolgente da generare la crisi della stessa critica politica. Mentre aumentano le forme di sfruttamento del lavoro e si precarizzano fortemente le esistenze, come sottolineano i due sociologi, auspicando una rinascita della critica sociale in chiave appunto artistica e creativa, e il passaggio a uno stadio nel quale le persone non vengano più messe incessantemente alla prova, né costrette a «vite a progetto».

1 commento:

Anonimo ha detto...

Stasera, ore 21, Luc Boltanski presenterà all'Unione culturale di Torino (via C.Battisti 4/B) insieme ad Arnaud Esquerre il recente saggio "Vers l’extrême: extension des domaines de la droite" (Dehors, 2014) riflettendo sull'ascesa delle nuove destre populiste in Europa: http://www.unioneculturale.org/2016/02/liberarsi-dai-nazionalismi//