mercoledì 28 ottobre 2015

Robert Reich salvatore del capitalismo con Piketty

Come salvare il capitalismoRobert Reich: Come salvare il capitalismo, Fazi 
Risvolto
Dimenticate quello che credete di sapere sul capitalismo come lo conosciamo oggi.
Dimenticate la diffusa convinzione che si tratti di un sistema meritocratico in cui chiunque, se lavora davvero sodo, può farcela; che quelli che non ce la fanno, i poveri, siano responsabili della loro condizione.
Dimenticate, soprattutto, l’idea che il mercato sia così com’è perché la sua razionalità intrinseca l’ha plasmato nel migliore dei modi possibili. Il mercato, come ogni cosa creata dall’uomo, può essere ordinato e regolato in molti modi alternativi, e chi ne decide le regole è la politica.
In quest’ispirato saggio, che porta alla luce, anche per chi di economia non sa nulla, i meccanismi reali che muovono il mercato, Robert B. Reich – economista di fama internazionale ed ex ministro del Lavoro statunitense – mostra come in questi anni i centri di potere economico abbiano organizzato il gioco per vincerlo. Utilizzando la loro ricchezza per intervenire sulla politica attraverso spregiudicate donazioni elettorali e una feroce attività di lobbying, le grandi multinazionali e le banche di Wall Street si sono assicurate il potere per far sì che le regole economiche continuino a essere in loro favore. È questo il motivo della crescente disuguaglianza dei redditi che sta indebolendo la società americana.
Per modificare le regole affinché soddisfino anche i loro bisogni, i cittadini devono allora riguadagnare un potere che faccia da contrappeso a quello dei super ricchi. Un compito che sembra titanico, ma col suo spirito pragmatico e analitico Reich propone qui una serie di proposte concretissime e illuminanti, tra le quali quella clamorosa di dare a ogni americano che compie diciotto anni un reddito minimo garantito.
Proposte che, anche per l’amicizia personale di Reich con Hillary Clinton, renderanno questo saggio un libro molto discusso durante la prossima campagna presidenziale negli Stati Uniti.
«Se la storia insegna qualcosa, è probabile che gli Stati Uniti andranno incontro a un processo di riforme che a sua volta si riprodurrà altrove. Questo perché gli americani hanno sempre anteposto il pragmatismo all’ideologia. Ogni volta che in passato il capitalismo ha raggiunto un momento di crisi, non abbiamo mai optato per il comunismo, il fascismo o altre grandi costruzioni ideali. A più riprese abbiamo salvato il capitalismo dai suoi eccessi, operando le correzioni necessarie. È ora di farlo di nuovo».


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Saggi. «Come salvare il capitalismo» dell'economista Usa e ex ministro del lavoro Robert Reich per Fazi Editore 

Benedetto Vecchi Manifesto 28.10.2015, 0:30 
La grande reto­rica dive­nuta pen­siero domi­nante recita che il mer­cato non ha neces­sità dello Stato per fun­zio­nare bene. Dà infatti il meglio di sé — nel garan­tire un benes­sere varia­bile secondo le capa­cità a tutti gli abi­tanti della società — ogni volta che il potere poli­tico smette di intro­met­tersi nell’attività eco­no­mica. Più che grande reto­rica, avverte Robert Reich nel volume Come sal­vare il capi­ta­li­smo (Fazi edi­tore, pp. 332, euro 22), è una men­zo­gna bella e buona. Il neo­li­be­ri­smo si basa infatti su una diversa rego­la­zione dell’attività eco­no­mica. Non dun­que sull’assenza di regole, ma di norme dif­fe­renti, anti­te­ti­che da quelle che dagli anni Trenta sono diven­tate ege­moni nel capi­ta­li­smo. E se dagli anni Trenta del Nove­cento, lo Stato era diven­tato sia il garante di alcuni diritti sociali — la salute, la pen­sione, la for­ma­zione — che anche impren­di­tore, dalla meta degli anni Set­tanta dello stesso secolo in poi ha pro­gres­si­va­mente can­cel­lato quella strut­ture isti­tu­zio­nali, sosti­tuen­dole con leggi e norme favo­re­voli solo alle imprese e demo­lendo così il «com­pro­messo tra capi­tale e lavoro». 
Robert Reich è un libe­ral che ha rico­perto ruoli poli­tici rile­vanti — è stato mini­stro del lavoro durante la prima pre­si­denza di Bill Clin­ton — ed è un docente apprez­zato per uno stu­dio sulle «eco­no­mie delle nazioni», rite­nuto uno dei primi saggi sulla glo­ba­liz­za­zione. Abban­do­nato l’incarico isti­tu­zio­nale è tor­nato nelle aule uni­ver­si­ta­rie per inse­gnare eco­no­mia indu­striale e eco­no­mia del lavoro. Per­so­nag­gio noto per le sue mol­te­plici col­la­bo­ra­zioni con quo­ti­diani e rivi­ste, ha fatto par­lare di sé per l’annuncio di riti­rarsi dalla scena pub­blica per dedi­carsi alla fami­glia e all’educazione dei figli. Pro­po­sito man­te­nuto per poco tempo, visto che ha man­dato alle stampe mol­tis­simi libri: sul «tur­bo­ca­pi­ta­li­smo», sulle guerre cul­tu­rali negli Stati Uniti, sugli effetti della crisi del 2007–2008 e, infine, sul capi­ta­li­smo emerso dalla grande crisi. Deci­sa­mente avver­sa­rio del regime neo­li­be­ri­sta è stato spesso rite­nuto un demo­cra­tico di «sini­stra», col­lo­ca­zione poli­tica che que­sto libro smen­ti­sce decisamente. 

Key­ne­si­smo di ritorno 
Il titolo — Come sal­vare il capi­ta­li­smo — esprime chia­ra­mente l’obiettivo del sag­gio. Ciò che Reich vuol ripri­sti­nare è un modo di rego­lare l’attività eco­no­mica e il rap­porto tra que­sta e il sistema poli­tico che può essere defi­nito key­ne­siamo. Dun­que, diritti sociali garan­titi, nelle forme isti­tu­zio­nali che hanno carat­te­riz­zato il capi­ta­li­smo sta­tu­ni­tense — redi­stri­bu­zione del red­dito, con­te­ni­mento della for­bice delle dise­gua­glianza sociali e argini alla «logica di potenza» delle imprese, che ha por­tato il sistema poli­tico di Washing­ton ad essere spesso ostag­gio delle lobby. Il suo è un rifor­mi­smo light, che non disde­gna di usare toni hard quando si tratta di stig­ma­tiz­zare le poli­ti­che libe­ri­ste che hanno con­trad­di­stinto le pre­si­denze repub­bli­cane o della stessa ammi­ni­stra­zione Clin­ton, non­che delle deci­sioni delle Corte Suprema o di leggi appro­vato dal con­gresso a favore del capi­tale. E non è tenero nep­pure quando denun­cia la subal­ter­nità della poli­tica a Wall Street. 
Così si dilunga a lungo su come le norme sulla pro­prietà intel­let­tuale hanno solo favo­rito le mul­ti­na­zio­nali high-tech, far­ma­ceu­ti­che, agro-alimentari e della chi­mica. Sotto tiro non sono solo le leggi sul diritto d’autore che hanno reso il soft­ware pro­prietà esclu­siva delle imprese, ma anche i bre­vetti sui far­maci, che asse­gnano un potere immenso alle mul­ti­na­zio­nali far­ma­ceu­ti­che sulla vita (e la morte) di uomini e donne. L’immoralità delle loro azioni, argo­menta Reich, sta nel ven­dere far­maci sal­va­vita a prezzi che sono una mino­ranza della società può permettersi. 
Ogni esem­pio scelto dall’economista ruota attorno allo stesso nucleo argo­men­ta­tivo. Nel neo­li­be­ri­smo lo Stato non scom­pare, anzi è molto pre­sente. Ma invece che essere garante della salute pub­blica è diven­tato il garante delle stra­te­gie capi­ta­li­sti­che. Il case study più ecla­tante del libro è però quello rela­tivo allo spo­sta­mento di ric­chezza dal lavoro al capi­tale avve­nuto non solo negli Stati Uniti, ma in tutto il Nord globale. 
La pre­ca­riz­za­zione del rap­porto di lavoro, la dif­fe­ren­zia­zione tra lavo­ra­tori che ancora acce­dono alla tutela sani­ta­ria e chi ne è escluso hanno pro­vo­cato la cre­scita di un nume­roso eser­cito di wor­king poor, i lavo­ra­tori poveri costretti a svol­gere più lavori per rag­gra­nel­lare un sala­rio di mera soprav­vi­venza. Ma a deter­mi­nare lo spo­sta­mento di ric­chezza dal lavoro al capi­tale è anche la dif­fi­coltà di poter acce­dere a buoni col­lege e uni­ver­sità a causa delle alte retta da pagare, osta­colo che è spesso aggi­rato tra­mite l’indebitamento dei geni­tori o dello stesso(a) studente/studentessa.
Reich mani­fe­sta nostal­gia per gli isti­tuti del public domain e delle affer­ma­tive action che nel recente pas­sato hanno con­sen­tito alla società ame­ri­cana di atti­vare forme isti­tu­zio­nali di mobi­lità sociale verso l’alto. Ed è con que­sto spi­rito che difende le pro­po­ste, meglio le misure di Barack Obama sull’innalzamento del sala­rio minimo ora­rio. Per Reich è la prima misura a favore del lavoro presa da un pre­si­dente degli Stati Uniti da tan­tis­simi anni. 

Arri­vano i voucher 
Reich fa però con­fu­sione sul red­dito minimo. Negli Stati Uniti c’è stato anche un neo­li­be­ri­sta radi­cale come MIl­ton Fried­man che è stato a favore di un red­dito minimo garan­tito nelle forme di vou­cher per acqui­stare alcuni beni e ser­vizi. Non è certo il red­dito di cit­ta­di­nanza euro­peo. Sem­mai è una forma di inte­gra­zione del sala­rio o di sus­si­dio di disoc­cu­pa­zione vin­co­lati comun­que alla dispo­ni­bi­lità ad accet­tare qual­siasi tipo di lavoro che le «agen­zie dell’impiego» — ce ne sono di pri­vate e di pub­bli­che negli Stati Uniti — pro­pon­gono. Sta di fatto che per Reich tanto il sala­rio che il red­dito minimo sono misure a favore del lavoro. Per­ché il capi­ta­li­smo si può sal­vare solo attra­verso una redi­stri­bu­zione della ric­chezza. È que­sto il rifor­mi­smo light di Reich. Da con­di­vi­dere, ovvia­mente, anche se rimane l’impressione di svuo­tare l’oceano con un sec­chiello. Lode­vole inten­zione, desti­nata però ad essere fru­strata dai rap­porti di forza esi­stenti nel capi­ta­li­smo. E se non si cam­biano quelli ogni inten­zione rimane solo lodevole.

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